Lo scambio di provette, ormai certo, apre scenari
allucinanti
Poniamo. E ipotizziamo.
Una mamma (sarà l’unica?), causa errore di un operatore, ha in grembo una creatura
che, biologicamente, non è sua. Intanto, la madre vera, quella che ha fornito l’ovulo,
ha già fatto sapere che, nel caso in cui la magistratura, cui è stata inoltrata
dettagliata denuncia, dovesse acclarare l’effettivo scambio degli embrioni,
reclamerà per sé il nascituro. Che nel frattempo, del tutto inconsapevole,
continua a svilupparsi in un utero “terzo”.
A questo punto, la
donna che lo ha in seno ha tutto il diritto di abortire. A ben pensarci,
potrebbe addurre, a sostegno della sua decisione, il disagio e il malessere
derivanti dalla consapevolezza, appunto, di dover mettere alla luce un bimbo
non suo. In questo caso, l’altra donna, la mamma biologica, che già si fa avanti
per vedere riconosciute le sue ragioni, che diritto avrebbe per opporsi alla
determinazione di interrompere la gravidanza? Potrebbe invocare l’intervento
dei Carabinieri a presidio di quella vita che l’altra donna vuole spegnere? Impensabile
e improponibile, anche da un punto di vista giuridico. Un bel pasticcio. Una cosa
è certa: il combinato disposto della legge 40, quella sulla fecondazione medicalmente assistita, e la 194, che ha legalizzato l’aborto, è foriero di
gravi conseguenze. Come è certo che quando la vita non viene considerata sacra,
perché tale è, ci si incammina per una brutta strada.
Giacinto Zappacosta
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