COME PER CAGIONE DI FEMINE SI ROVINA UNO STATONacque nella città d’ Ardea intra i patrizi e gli plebei una sedizione per cagione d’uno parentado, dove avendosi a maritare una femmina ricca, la domandarono parimente uno plebeo ed uno nobile: e non avendo quella padre, i tutori la volevano congiungnere al plebeo, la madre al nobile: di che nacque tanto tumulto che si venne alle armi, dove tutta la Nobilità si armò in favore del nobile, e tutta la plebe in favore del plebeo. Talché essendo superata, la plebe si uscì d’Ardea e mandò a’ Volsci per aiuto, i nobili mandarono a Roma. Furono prima i Volsci, e giunti intorno ad Ardea si accamparono. Sopravvennero i Romani e rinchiusono i Volsci infra la terra e loro, tanto che gli constrinsono, essendo stretti dalla fame, a darsi a discrezione. Ed entrati i Romani in Ardea e morti tutti i capi della sedizione, composono le cose di quella città.
Sono in questo testo più cose da notare. Prima si vede come le donne sono state cagione di molte rovine, ed hanno fatti gran danni a quegli che governano una città, ed hanno causato di molte divisione in quelle; e come si è veduto in questa nostra istoria, l’eccesso fatto contro a Lucrezia tolse lo stato ai Tarquinii, quell’altro fatto contro a Virginia privò i Dieci dell’autorità loro.
Ed Aristotile intra le prime cause che mette della rovina de’ tiranni è lo avere ingiuriato altrui per conto delle donne, con stuprarle o con violarle o con rompere i matrimoni. Dico adunque, come i principi assoluti ed i governatori delle repubbliche non hanno a tenere poco conto di questa parte, ma debbono considerare i disordini che per tale accidente possono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio non sia con danno e vituperio dello stato loro o della loro republica: come intervenne agli Ardeati, i quali, per avere lasciato crescere quella gara intra i loro cittadini, si condussero a dividersi infra loro, e volendo riunirsi ebbono a mandare per soccorsi esterni, il che è uno grande principio d’una propinqua servitù.
Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro III, XXVI
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