di Filippo Ginnini

Dall’INFORMAZIONE DI MODENA di sabato 29 ottobre 2011, in prima pagina e a tutta pagina, leggiamo e trascriviamo: . Cioè, osserviamo: Diamo una volta ancora ragione ai violenti. Ed ora ci spiegheremo meglio. E da IL RESTO DEL CARLINO, stessa data, pag. 6, anche qui a piena pagina: .
Ed ora veniamo ai fatti per come li abbiamo vissuti.
Alcuni giorni fa eravamo stati invitati ad incontrarci a Modena per una chiacchierata, organizzata da alcuni giovani di Fiamma Tricolore (sembra che ancora esista; quindi attendiamo il classico: Se ci sei batti un colpo!), incontro che si doveva svolgere in un certo albergo, appunto lo scorso sabato, a Modena.
Il lunedì precedente ci era stato comunicato il luogo del convegno: un albergo, appunto di Modena, indichiamolo come Albergo A. Sennonché il giorno successivo una telefonata ci comunicava che l’Albergo A aveva rifiutato l’affitto della sala perché “la direzione era stata minacciata da esponenti dei centri sociali”, di conseguenza il convegno si sarebbe tenuto nell’Albergo B. Di nuovo, altra telefonata: per le stesse ragioni, ci saremmo incontrati nell’Albergo C. Per la verità in questo momento non ricordiamo esattamente se siano subentrate altre telefonate per nuovi spostamenti, In ogni caso, per brevità, immaginiamo che la farsetta democratica si fermi qui. Torniamo ai ricordi di decenni indietro, verso i primi anni del dopoguerra, ai tempi della nascita del Movimento Sociale Italiano, quando cioè, ed è vita vissuta e possiamo testimoniarlo in qualsiasi sede, ogni nostro convegno era sempre disturbato con violenza dai rossi; però, allora sapevamo rispondere con la stessa determinazione, forse perché allora nel Msi erano attivi, anzi, attivissimi i reduci della Rsi, non intenzionati a farsi mettere in disparte da nessuno. Sì, signori, a violenza si deve rispondere con coraggio e il perché sarà chiarito nel prosieguo di questo articolo. E un saltino ad allora. Se allora si fosse verificato quanto accaduto la scorsa settimana, la riunione si sarebbe tenuta proprio di fronte alla sede dei centri sociali, cioè di fronte ai disturbatori. Affermo questo perché cosa già accaduta. Oggi questo non è più possibile perché i giovani repubblichini di allora, o sono passati a miglior vita, o troppo anziani.
Torniamo ai giorni di oggi.
Siamo nell’Albergo C, tutto è pronto per la conferenza, la sala è colma di giovani, quando sentiamo rumori e grida provenire dalla strada. Si sta verificando quanto preannunciato: i democraticissimi signorini dei centri sociali e di altre organizzazioni anarco-comunisti sono in strada, davanti all’albergo che gridano, agitando le rosse bandiere con falce e martello, i loro stupidi slogan, uno dei quali il più noto: . Invece eravamo lì ad osservare il loro agitarsi controllati da decine di poliziotti e carabinieri. Ci siamo fatti avanti e li abbiamo invitati, invece di gridare e infastidire di entrare e di confrontarci civilmente. Uno di loro rispose agitandosi che era figlio di un partigiano, al che abbiamo risposto che non era colpa nostra se qualcuno nasce disgraziato. A questo punto un carabiniere ci chiese di tornare in sala, cosa che abbiamo fatto. Rientrando abbiamo notato che i signorini non avevano tardato a farsi riconoscere, infatti uno di loro aveva tirato un sasso infrangendo una vetrata della porta dell’albergo. Un gesto certamente non nuovo in questa Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
Demmo inizio alla conferenza che, a detta di tutti, è riuscita nel migliore dei modi.
Una prima osservazione: immaginatevi, voi che leggete, cosa sarebbe accaduto se quella gazzarra fosse stata messa in atto anziché dai rossi-cocomeri dai neri. Quante interrogazioni parlamentari sarebbero state sollevate? Quanti ragazzi sarebbero stati portati in carcere? Invece loro nulla; hanno bloccato la strada, hanno inscenato una manifestazione non autorizzata e, come di loro uso, hanno rotto, oltre che le santissime scatole, anche un bene dell’albergo, il vetro.
Ora desideriamo descrivere le caratteristiche dei signorini sopra indicati e caratterizzarli storicamente.
Abbiamo già scritto che essi sono sempre – e ripetiamo, sempre – stati usi alla violenza. Ricordiamo il loro modo di intendere la lotta politica e la violenza fascista. Quanto andremo a scrivere è solo degli appunti presi a caso qui e lì.
Prima di iniziare ricordiamo che i Fasci di Combattimento sorsero solo a marzo del 1919.
L’anarchico Bruno Filippi, che sognava la rivoluzione sovietica fece esplodere alcune bombe, a Piazza Fontana a Milano, a Via Paleocapa, al Palazzo di Giustizia, sempre a Milano, il 7 settembre mentre era intento a porre una nuova bomba a Palazzo Marino, gli esplose in mano dilaniandolo.
Il 23 marzo 1921 l’attentato al teatro Diana causò la morte di 21 spettatori e il ferimento di un centinaio.
Specialmente nella Bassa Padana tra la fine del 1918 e i primi 1919 si ebbero le prime spedizioni punitive messe in atto dai rossi contro i contadini refrattari ad iscriversi ai sindacati socialisti.
Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin. . Ancora Lenin: .
Da citare quanto scrisse Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail nel 1921: .
Il professor Ardito Desio ad una domanda di un giornalista, così rispose: .
Lo stesso De Gasperi su Il Nuovo Trentino del 7 aprile 1921, così scrisse: .
Interessante è quanto riporta Antonio Falcone su Storia Verità, gennaio 1994: .
Queste pochissime, scarne citazioni, almeno per il momento, a chiariscono da quale parte fosse la violenza.
E la Resistenza rossa? Per amore di Patria sarebbe opportuno tralasciare. Solo chi non conosce la storia può non sapere di quale demoniaca malvagità si sia macchiata. Anche su questo argomento solo pochissime citazioni, e ci scusiamo se ripetiamo concetti già esposti. Il partigiano, giusto per puntualizzare, era un fuorilegge e questo lo stabilivano le Convenzioni Internazionali di Guerra dell’Aja (si badi bene) del 1899 e del 1907. Per essere considerati legittimi combattenti era indispensabile rispondere a quattro condizioni: 1) portare apertamente le armi; 2) rispondere a ufficiali responsabili; 3) indossare una divisa riconosciuta da nemico, 4) riconoscere le convenzioni di guerra. Il partigiano non rientrava in alcuna di queste condizioni.
Ed ora diamo un rapido sguardo al sistema di lotta del partigiano. Dal libro 7° GAP di Mario De Micheli – Edizioni Cultura Sociale, Roma 1954: . Dopo questo saggio di lealtà, di coraggio e di eroismo, leggiamo uno stralcio di cosa ha scritto Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny: .
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