lunedì 16 aprile 2012

IL DISASTRO DI SEVESO NELLA NOSTRA MEMORIA

Pubblicato sul sito del quotidiano “Repubblica”. Il lavoro è stato organizzato dal Liceo Scientifico “Plateja” di Taranto.
(http://scuola.repubblica.it/puglia-taranto-itcplateja/articolo/il-disastro-di-seveso-nella-nostra-memoria/1185/?id_articolo=43&fb_source=message)

Perché non accada più

Quel tragico evento fa parte della nostra memoria collettiva, condivisa anche da noi giovani, noi nati ben dopo il 10 luglio 1976. Seveso, Meda, Cesano Maderno, Desio, l’Icmesa, in una sintesi verbale “il disastro di Seveso”: eccone la storia, l’angoscioso diario di un fatto vissuto dai nostri genitori quando avevano, più o meno, la nostra età.
10 luglio 1976, ore 12,37. All’interno dello stabilimento dell’Icmesa, un’azienda chimica di proprietà della Givaudan, operante in Brianza dal 1947, esplode una valvola di sicurezza del reattore A-101. Il risultato è la fuoriuscita di diossina nebulizzata, quantificata, a seconda delle stime, tra un minimo di 2 chili ad un massimo di 12 chili.
11 luglio, domenica. Due tecnici dell’Icmesa, nel pomeriggio, vanno dal sindaco di Seveso, Emilio Rocca, per riferirgli l’accaduto. Lo rassicurano: è tutto sotto controllo, dicono.
14 luglio. Si verificano le prime morie di animali, muoiono gli alberi, come tutte le piante.
15 luglio. Il sindaco emana un’ordinanza con la quale proibisce di consumare frutta e verdura, nonché di mangiare la carne di animali da cortile. Si registrano i primi casi di ricoveri in ospedale, mentre gli operai dell’Icmesa si rifiutano di mettere piede nello stabilimento.
17 luglio. L’accaduto diviene di dominio pubblico grazie ai primi articoli apparsi sui quotidiani a tiratura nazionale.
18 luglio. Parte l’inchiesta giudiziaria che porta all’arresto, con l’accusa di disastro colposo, del direttore e del vice direttore della fabbrica. Il pretore ordina la chiusura dello stabilimento. Intanto, aumentano i casi di intossicazione, soprattutto fra i bambini. Si comincia a fare i conti con una nuova malattia, la cloracne, riconducibile, appunto, all’esposizione alla diossina, il cui sintomo è la comparsa di macchie rosse sul corpo, macchie che evolvono in orribili bubboni giallastri di difficile guarigione. Per non parlare della pelle che cade a brandelli, dei problemi respiratori e della compromissione della funzionalità epatica.
23 luglio. Le analisi effettuate dalle autorità sanitarie italiane e dalla stessa Icmesa confermano la notevole presenza di diossina nel territorio.
10 agosto. Si decide l’evacuazione della zona circostante l’impianto per 15 ettari. Le famiglie residenti nell’area devono lasciare le loro abitazioni. Aumentano i ricoveri ospedalieri, mentre cresce il timore per le donne incinte.

Questa, dunque, la storia della diossina che ha avvelenato una parte della Brianza. Già, ma che cos’è la diossina? La diossina è il nome generico che indica vari composti tossici; il più noto, indicato con la sigla Tcdd, è un sottoprodotto della preparazione del triclorofenolo, sostanza utilizzata nella produzione di erbicidi e battericidi. In ogni caso, la diossina, che si deposita sui terreni e non è biodegradabile, penetra nell’organismo attraverso la respirazione e l’assunzione di cibo. Nei topi, in laboratorio, provoca tumori, disturbi al sistema nervoso e anomalie genetiche. In quel tragico evento, fortunatamente, non si registrarono decessi tra gli addetti all’impianto e la popolazione, ma gli 80mila animali morti o abbattuti danno il senso del disastro. Seguirono la bonifica del territorio e il processo a carico dei dirigenti della multinazionale svizzera, che furono condannati, nel 1983, per disastro colposo e lesioni, nonché ad un risarcimento di 200milioni di lire, tenuto conto, anche, che nella Zona A di Seveso, la più inquinata, tutto venne raso al suolo in quanto irrecuperabile. Più tardi, nel 1988, l’Italia, recependo una direttiva europea, si è data norme più severe in tema di rischi connessi alle attività industriali (Decreto del Presidente della Repubblica n. 175).
Consegnata alla storia questa triste vicenda, l’impegno di tutti è che episodi così devastanti non abbiano a ripetersi.

Mariagrazia Zappacosta



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