lunedì 22 ottobre 2012

QUANDO SI ARRABBIA UN PREFETTO



Non ho registrato una violenta reazione morale e civile alla volgare esternazione del “signor”  Andrea De Martino, temporaneamente prefetto di Napoli, nei confronti del sacerdote Maurizio Praticiello, reo di aver appellato un “Prefetto della Repubblica Italiana” con il semplice titolo di “signore”. Eppure, se ci si riflette, l’episodio è talmente emblematico del degrado morale e civile italiano da poterlo portare ad esempio in ogni discussione, lezione, approfondimento di quel tema.
La smisurata arroganza del prefetto De Martino più che i signorotti  di manzoniana memoria, mi ha ricordato una stupenda pagina di Ignazio Silone: “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il Principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del Principe, poi vengono i cani delle guardie del Principe, poi nulla, poi ancora nulla, poi ancora nulla, poi vengono i cafoni” (Fontamara).
Era a tal punto alterato De Martino per l’offesa ricevuta che non controllava più neppure la sintassi e riesce a scivolare persino  su un se con il condizionale (“se io mi rivolgerei a lei…”). Si placa per un attimo e poi ricomincia ad inveire contro l’incredulo prete che impiega un po’ di tempo per capire cosa ha combinato di tanto grave, cosa gli si rimprovera. Ma ormai il prefetto era un fiume in piena  e straripa  cominciando addirittura a  difendere il “prestigio delle Istituzioni”, offese dall’incauto prete di campagna: appunto il “cafone” siloniano di fronte al signore, in questo caso non  della terra, ma delle “Istituzioni”.
In un Paese che si vuole Occidentale, Democratico e Civile quel Prefetto andrebbe rimosso con ignominia per aver arrecato disdoro ad una Istituzione della Repubblica. Voi pensate che il ministro Cancellieri  revocherà quella nomina? Io credo di no.

NICOLANGELO D’ADAMO

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