La
Repubblica vastese, le Insorgenze, la storiografia ufficiale. Un interessante
spunto del preside D’Adamo
L’ho sempre pensato e ogni tanto mi soffermo a
considerare la questione tra me e me: se avessi avuto come preside il prof.
D’Adamo, avrei studiato di più e con più profitto. È uno dei rimpianti che
animano la mia vecchiaia, uno di quei convincimenti che la matura
consapevolezza, propria dell’età canuta, ti fanno percepire come insuperabili.
Da ultimo, ho apprezzato il dotto e documentato intervento dell’amico
Nicolangelo su un episodio storico in effetti poco conosciuto, vale a dire i
fatti connessi al periodo napoleonico, quel subitaneo e drammatico diffondersi
delle nuove idee giunte d’Oltralpe sulla punta delle baionette. Come ogni
rivolgimento, quegli accadimenti furono segnati dallo scorrere del sangue,
anche nella nostra città (al riguardo, l’articolo del preside D’Adamo,
pubblicato su queste colonne, merita una attenta lettura), da violenze, morti e
repressioni. Ma il dato che rileva in questa mia piccola riflessione è in
realtà un altro, e chiama in causa la storiografia ufficiale, incapace di
prendere in considerazione quei fatti storici non riconducibili ad una certa
visione ideologica della realtà. Come nell’atteggiamento di quel personaggio
manzoniano, che nega ontologicamente il sussistere dell’epidemia in quanto non
assimilabile ad alcuna categoria filosofica. Le Insorgenze, dunque, quel moto
popolare che si estese dalle Alpi alla Calabria (la Sicilia, come noto, non
vide la presenza delle truppe francesi), con una valenza che possiamo definire
di unità nazionale, quell’insofferenza nei confronti di un esercito straniero,
quello francese, delle sue prepotenze e sopraffazioni, delle ruberie, e di
quella forma mentis, l’illuminismo, avvertita come estranea, se non nemica.
Brevemente, lo sviluppo storico. Siamo nel 1796: Napoleone, su ordine di
Barras, invade l'Italia. Ovunque è un pullulare di requisizioni, tributi in
denaro e in opere d'arte, ruberie, vescovi allontanati, conventi devastati,
profanazioni. Il tutto, è bene rimarcarlo, in un’ottica anti-cristiana. Il 23
maggio dello stesso anno, cinquemila contadini, comandati dal giovane Natale
Barbieri, assediarono i francesi a Pavia. Armati alla meglio, riuscirono a liberare
la città, ma la reazione di Napoleone fu durissima. Binasco fu messa a ferro e
fuoco per rappresaglia, Pavia cannoneggiata e riconquistata. Barbieri e i suoi
furono fucilati in piazza. La rivolta dilagò poi in tutta la Penisola. Su tutto questo gli storici di professione, quelli che scrivono i
manuali in uso nelle scuole, sorvolano, saltano a pie’ pari. Per dire la
verità, non solo su questo. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano. E fu
insorgenza anche a Vasto (non poteva essere altrimenti), come documentato dal
prof. D’Adamo. Popolani armati di forconi che combattono a viso aperto contro
un esercito, contadini che in un attimo si trasformano in guerriglieri. Non di
rado, i moti
popolari vedono la presenza di donne, in qualche caso con compiti di comando (nell’articolo citato si parla della
nostra concittadina Angiola Teresa Scrippina), anticipazione di analogo
fenomeno (basti pensare alla sola Michelina De Cesare) durante il brigantaggio
meridionale. E qui vengo al nocciolo della questione. Lo faccio citando le
parole del Preside: “Ma l’evento, inaspettato e frettoloso, in città non fu
capito e non suscitò alcun entusiasmo. La stessa coccarda tricolore, messa
sulla porta del municipio, durante la notte, fu anche rimossa da mano ignota.
Insomma fu una operazione oligarchica, èlitaria, senza nessun legame con il
popolo. Per un mese il governo repubblicano operò nell’indifferenza generale”.
Una democrazia, quindi, imposta e calata dall’alto, concepita a tavolino da chi
parla di popolo senza conoscerlo, una democrazia, ed è un fatto dei giorni
nostri, esportata in Libia coi bombardamenti (francesi).
Nessun commento:
Posta un commento