lunedì 18 marzo 2013

QUANDO A VASTO SI BALLAVA AL “ROSSETTI”




Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento anche in Abruzzo si ebbero rapide e profonde trasformazioni  sociali dovute da un lato alla nascita ed affermazione del Partito Socialista e dall’altro alla progressiva affermazione del Popolarismo Cattolico. Va comunque detto che il movimento Socialista, più che di natura proletaria, fu fortemente alimentato soprattutto dagli artigiani. Insomma  un movimento  piccolo borghese alla ricerca di un riconoscimento politico che contendeva con successo crescente alla vecchia borghesia liberale, al punto che a L’Aquila riuscì a prendere anche la maggioranza in Comune.
A Vasto a capo del Partito Socialista c’era Vincenzo Cardone e membri influenti del direttivo erano Nicola Scotti, fotografo, e Francesco Paolo Martone, impiegato.
Meno successi registrò il nascente Partito Popolare che fece fatica ad affermarsi come forza politica autonoma, vista l’egemonia che il notabilato esercitava su buona parte del  cattolicesimo locale. Infatti in provincia di Chieti, nelle elezioni politiche del 1919, il Partito Popolare non riuscì neppure a presentate una propria lista. Ma  la sua presenza a Vasto doveva essere consistente visto che si scelse questa città per stampare il numero unico del loro giornale, “L’Abruzzo Popolare”.
Anche lo “spirito unitario” di tanti “liberali” era più alimentato dalla speranza di fare buoni affari con l’Unità d’Italia che da spirito patriottico.
A Vasto, ancor prima dell’inizio della prima guerra mondiale, la piccola borghesia guadagnò consistenti spazi sociali e politici liberandosi pure, a piccoli passi, dalla tradizionale e consolidata  riverenza al notabilato locale. Al punto da non temere, come ci ricorda Francesco Ciccarone nelle sue “Memorie”, con una bella nota di colore, di criticare pubblicamente “questa o quella mossa dei signori nel gioco delle carte”. Non solo. Ma anche gli spazi tradizionalmente riservati alla ricca borghesia, come il Teatro Rossetti per i ricevimenti e i veglioni, vennero  invasi dagli artigiani: “…ai signori era concesso il privilegio”, ricorda sempre Francesco Ciccarone,  “di occupare da soli la sala per il veglione  e poter ballare senza il rischio di essere disturbati da artigiani che si contentavano di ammirarli dall’ultimo ordine dei palchi (…), a poco a poco si verificò un fenomeno di infiltramento di elementi eterogenei ed il veglione diventò rumorosa gazzarra e si estinse”.

NICOLANGELO D’ADAMO

Nessun commento:

Posta un commento