mercoledì 3 aprile 2013

LINGUA E CONTESTO DI SITUAZIONE




Negli anni ottanta furono pubblicati numerosi studi di linguistica (fondamentali gli studi di Noam Chomsky e, da noi, di Tullio De Mauro) che tendevano soprattutto a studiare le grandi differenze linguistiche che esistono in contesti di situazione diversi tra loro. Non adoperiamo lo stesso linguaggio se, dovendo raccontare un episodio, usiamo lo strumento del volantino, del manifesto, della lettera, del racconto, dell’articolo, del verbale, il saggio ecc. e anche adoperando lo stesso mezzo, per esempio il giornale, sarà diverso il periodare e la terminologia se si tratta di quotidiano o di periodico, e se si tratta di periodico sarà ancora diverso se il periodico ha un target popolare o è una rivista più impegnata culturalmente o addirittura un periodico accademico. Insomma noi modifichiamo il nostro linguaggio in base al cosiddetto “Contesto di Situazione” e ciò avviene sia quando scriviamo sia quando parliamo: ci esprimiamo diversamente al bar, in chiesa,  con estranei, in pubblico, in privato, a scuola ecc.
In campo scolastico questi studi si tradussero in un atto d’accusa alla validità dello strumento principe della valutazione nella scuola italiana, il tradizionale “Tema” in classe. Alla luce di quegli studi come si doveva valutare una esercitazione scritta imposta all’alunno senza indicargli il “contesto di situazione”? Nacquero così le esercitazioni scritte alternative al tradizionale “tema” e agli esami di Stato si cominciò a chiedere al candidato la redazione di un “saggio breve” fornendogli ampio materiale documentario.
Ho ripensato ai tanti studi di linguistica del recente passato ascoltando il linguaggio dei politici italiani e leggendo i commenti e i resoconti giornalistici. Mi sembra che gli effetti di quegli studi sui nostri politici siano stati opposti alle intenzioni di quegli studiosi: laddove il linguaggio dovrebbe essere più misurato e corretto, è sempre più sboccato e volgare, nessun rigore linguistico o autocontrollo verbale.
L’estrema trivialità di certe espressioni a prescindere dal “contesto di situazione”, la volgarità degli epiteti usati in ogni circostanza, la manifesta volontà di offendere l’avversario è sconfortante e avvilente. Non vorrei essere nei panni degli insegnanti che hanno come “missione pedagogica” anche l’educazione linguistica tradizionalmente intesa dei propri alunni: con quali argomenti dovranno pretendere l’uso di certi termini anzichè altri? E poi: esistono ancora i termini “corretti” e quelli “scorretti”? Si dovrà tener conto in futuro dell’ambiente, dell’interlocutore, dell’argomento trattato nella scelta dei termini da usare? Insomma stiamo assistendo ad una rivoluzione, affatto silenziosa, del linguaggio che penso ci porti in futuro a considerare un inutile orpello l’”Accademia della Crusca”.

NICOLANGELO D’ADAMO

Nessun commento:

Posta un commento