Negli anni ottanta furono
pubblicati numerosi studi di linguistica (fondamentali gli studi di Noam
Chomsky e, da noi, di Tullio De Mauro) che tendevano soprattutto a studiare le
grandi differenze linguistiche che esistono in contesti di situazione diversi
tra loro. Non adoperiamo lo stesso linguaggio se, dovendo raccontare un
episodio, usiamo lo strumento del volantino, del manifesto, della lettera, del
racconto, dell’articolo, del verbale, il saggio ecc. e anche adoperando lo
stesso mezzo, per esempio il giornale, sarà diverso il periodare e la
terminologia se si tratta di quotidiano o di periodico, e se si tratta di
periodico sarà ancora diverso se il periodico ha un target popolare o è una
rivista più impegnata culturalmente o addirittura un periodico accademico.
Insomma noi modifichiamo il nostro linguaggio in base al cosiddetto “Contesto
di Situazione” e ciò avviene sia quando scriviamo sia quando parliamo: ci
esprimiamo diversamente al bar, in chiesa,
con estranei, in pubblico, in privato, a scuola ecc.
In campo scolastico questi studi
si tradussero in un atto d’accusa alla validità dello strumento principe della
valutazione nella scuola italiana, il tradizionale “Tema” in classe. Alla luce
di quegli studi come si doveva valutare una esercitazione scritta imposta
all’alunno senza indicargli il “contesto di situazione”? Nacquero così le
esercitazioni scritte alternative al tradizionale “tema” e agli esami di Stato
si cominciò a chiedere al candidato la redazione di un “saggio breve”
fornendogli ampio materiale documentario.
Ho ripensato ai tanti studi di
linguistica del recente passato ascoltando il linguaggio dei politici italiani
e leggendo i commenti e i resoconti giornalistici. Mi sembra che gli effetti di
quegli studi sui nostri politici siano stati opposti alle intenzioni di quegli
studiosi: laddove il linguaggio dovrebbe essere più misurato e corretto, è
sempre più sboccato e volgare, nessun rigore linguistico o autocontrollo
verbale.
L’estrema trivialità di certe espressioni
a prescindere dal “contesto di situazione”, la volgarità degli epiteti usati in
ogni circostanza, la manifesta volontà di offendere l’avversario è sconfortante
e avvilente. Non vorrei essere nei panni degli insegnanti che hanno come
“missione pedagogica” anche l’educazione linguistica tradizionalmente intesa
dei propri alunni: con quali argomenti dovranno pretendere l’uso di certi
termini anzichè altri? E poi: esistono ancora i termini “corretti” e quelli
“scorretti”? Si dovrà tener conto in futuro dell’ambiente, dell’interlocutore,
dell’argomento trattato nella scelta dei termini da usare? Insomma stiamo
assistendo ad una rivoluzione, affatto silenziosa, del linguaggio che penso ci
porti in futuro a considerare un inutile orpello l’”Accademia della Crusca”.
NICOLANGELO D’ADAMO
Nessun commento:
Posta un commento