mercoledì 11 settembre 2013

LAPENNA: “PARE CHE LA MOGLIE DEL SINDACO DEBBA FARE SOLO LA CASALINGA”. ESEGESI DI UN TESTO

 L’argomentare è diretto, lineare. Ma proprio per questo particolarmente irritante. Snocciola i titoli della moglie e si stupisce delle polemiche, come se la dolce metà fosse insostituibile in seno ad una giuria. Certo, verrebbe da vergare, la moglie del sindaco, in taluni casi, soprattutto quando si tratta del Vasto Film Festival, organizzato dal Comune, deve fare la casalinga, che di per sé non è un’attività degradante, e lo deve fare per una questione di buon gusto, qualità strettamente connessa all’arte, e di etica. Comunque sia, Lapenna tira dritto per la sua strada travolgendo logica e discernimento. Eccoli dunque, nelle parole del primo cittadino, i titoli della consorte: “Bianca è stata per 15 anni insegnante dell'Accademia dell'immagine de L'Aquila, attualmente cura un corso di storia dell'arte e linguaggio cinematografico presso l'Università delle Tre Età di Vasto ed è riconosciuta come persona qualificata nel settore”. Il volume di fuoco, deprimente, ed anche un po’ goffo, ma a questo punto necessitato, a difesa della Campli, è in re ipsa una stonatura, una delle tante di questo sindaco. Popolarmente, a censurare comportamenti simili, si usa dire “chiamo a testimoniare mia moglie”. Invertite le parti, il sugo del discorso rimane. Resta in piedi soprattutto una domanda: non c’era in giro altra persona, del tutto fungibile, che potesse esprimere il proprio giudizio su opere cinematografiche? Di lato, un altro empito: tante donne, colte, intelligenti, non vanno a formare giurie, o altro, solo perché non sono mogli di un sindaco. Sia chiaro, a scanso di pericolosi equivoci, che la scelta caduta su Bianca Campli non trova le sue scaturigini nella parentela, ma la visibilità che si acquista in virtù dei vincoli familiari dà, a volte, un valore aggiunto. Non è colpa di nessuno e non c’è niente di male. D’altra parte, il curriculum è di tutto rispetto, come riferito dal sindaco. Il quale, però, stranamente, nell’elogio non fa menzione dei titoli di studio, come in effetti sarebbe normale, quasi che agli stessi non si connetta l’importanza che meritano. La sensazione, strana, da questo punto di vista, è come di una cesura nell’ambito del discorso, uno iato, un vuoto, casuale o voluto che sia, che fa pensare. Se difesa doveva essere, bisognava estenderla su tutti i fronti.


Giacinto Zappacosta            

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