L’argomentare è diretto, lineare. Ma proprio per questo particolarmente
irritante. Snocciola i titoli della moglie e si stupisce delle polemiche, come
se la dolce metà fosse insostituibile in seno ad una giuria. Certo, verrebbe da
vergare, la moglie del sindaco, in taluni casi, soprattutto quando si tratta
del Vasto Film Festival, organizzato dal Comune, deve fare la casalinga, che di
per sé non è un’attività degradante, e lo deve fare per una questione di buon
gusto, qualità strettamente connessa all’arte, e di etica. Comunque sia,
Lapenna tira dritto per la sua strada travolgendo logica e discernimento.
Eccoli dunque, nelle parole del primo cittadino, i titoli della consorte: “Bianca è stata per 15 anni insegnante dell'Accademia
dell'immagine de L'Aquila,
attualmente cura un corso di storia dell'arte e linguaggio cinematografico
presso l'Università delle Tre Età di
Vasto ed è riconosciuta come persona qualificata nel settore”. Il volume di
fuoco, deprimente, ed anche un po’ goffo, ma a questo punto necessitato, a
difesa della Campli, è in re ipsa una stonatura, una delle tante di questo
sindaco. Popolarmente, a censurare comportamenti simili, si usa dire “chiamo a
testimoniare mia moglie”. Invertite le parti, il sugo del discorso rimane. Resta
in piedi soprattutto una domanda: non c’era in giro altra persona, del tutto fungibile,
che potesse esprimere il proprio giudizio su opere cinematografiche? Di lato,
un altro empito: tante donne, colte, intelligenti, non vanno a formare giurie,
o altro, solo perché non sono mogli di un sindaco. Sia chiaro, a scanso di
pericolosi equivoci, che la scelta caduta su Bianca Campli non trova le sue
scaturigini nella parentela, ma la visibilità che si acquista in virtù dei
vincoli familiari dà, a volte, un valore aggiunto. Non è colpa di nessuno e non
c’è niente di male. D’altra parte, il curriculum è di tutto rispetto, come
riferito dal sindaco. Il quale, però, stranamente, nell’elogio non fa menzione
dei titoli di studio, come in effetti sarebbe normale, quasi che agli stessi
non si connetta l’importanza che meritano. La sensazione, strana, da questo
punto di vista, è come di una cesura nell’ambito del discorso, uno iato, un
vuoto, casuale o voluto che sia, che fa pensare. Se difesa doveva essere,
bisognava estenderla su tutti i fronti.
Giacinto Zappacosta
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