Al di là della
vulgata che degrada Edgar Allan Poe
ad un semplice e anonimo, banale direi, scrittore del genere horror, ci
troviamo di fronte ad un intellettuale di spessore, scrittore, poeta e critico
letterario. I romanzi (anche quelli che, per semplicità, possiamo chiamare
polizieschi) sono la cornice entro la quale l’autore muove le fila di una trama
mai scontata, al di fuori, o contro, una logica e un sistema narrativo
prevedibili. Anzi, l’autore va oltre, fino a ribellarsi alle norme che, in re
ipsa o per mera, stanca convenzione, sembrano governare l’agire umano. Norme e
regole, appunto, che sussistono per chi vi si adagia, compiaciuto, come avviene
per i più. “Così avere una memoria salda e attenersi fedelmente alle regole
sono punti generalmente considerati come il meglio, il massimo del ben giocare.
Ma è nei casi che si collocano fuori delle pure e semplici regole che si
manifesta l’abilità dell’analista”. Le osservazioni e le trovate dei personaggi
contestano, tra le altre cose, la validità stessa della statistica. Sentite
questa: se io lancio i dadi ed ottengo un dato punteggio, poniamo cinque,
perché al lancio successivo non posso ottenere un altro cinque? O meglio, chi o
cosa, o quale teoria, quale calcolo può dirmi che al secondo lancio io non
possa ottenere un altro cinque? O comunque indicarmi in termini probabilistici
vari possibili esiti della seconda giocata? Il primo lancio, una volta
effettuato, e una volta verificatone il risultato, appartiene al passato, è
consegnato alla storia senza alcun gravame sul presente. “La narrazione che
segue apparirà al lettore come una sorta di commento alle proposizioni ora
enunciate”: così in un suo racconto.
Ecco quindi che
quella impostazione filosofica si sostanzia nelle novelle, alcune delle quali
assurgono a componimenti lirici. Vengono fuori la cultura classica, la conoscenza del greco antico e del latino,
la raffinatezza nella scelta della metrica nelle poesie, che sono parte
notevole della produzione letteraria dell’autore, come pure rivestono notevole
interesse i saggi di critica e di estetica. Fra questi, con le iperboli proprie
di un racconto vivace, “Come si scrive
un articolo alla Blackwood”, una sorta di guida al bel comporre, ma soprattutto
“Fondamento del verso” e “Filosofia della composizione”. La
pretesa, non so quanto riuscita, ma senz’altro interessante sotto altro
profilo, è quella di smontare, da un punto di vista logico, una qualsiasi opera
letteraria; meglio ancora siamo alla costruzione di un’opera scegliendo e
scartando, pezzo per pezzo, come in una bottega artigiana. “Tra parentesi, vi è noto che Godwin scrisse a ritroso
il suo Caleb Williams? Egli dapprima imbrogliò il suo eroe in un groviglio di difficoltà, formando il secondo volume, e poi, nel
primo, si sforzò di
trovare qualche modo di giustificare quanto aveva
fatto" (“Filosofia
della composizione”).
Siamo al rovesciamento dell’arte come intuizione di
un’idea,
sintesi a priori di forma e sostanza, siamo in zone inesplorate dell’estetica,
siamo di fronte all’artista quale padrone assoluto delle sue scelte. L’arte
come figlia dell’intelligenza. O forse siamo semplicemente di fronte ad un
artifizio dialettico. Sempre e comunque interessante. “Gli scrittori – in modo particolare i poeti –
preferiscono far credere ch'essi compongono con una specie di sottile frenesia – con un'estatica intuizione – e certamente
rabbrividirebbero di
permettere al pubblico di vedere dietro la scena le
elaborate e vacillanti crudezze del pensiero”.
Eccoti, di conseguenza, e a mo’ di esempio, la genesi della poesia Il Corvo, la più generalmente nota tra
le tante composte dall’autore. L’intenzione, dichiarata, e poi argomentata, è
quella di dimostrare che nessuna parte di essa è dovuta al caso o
all’intuizione e che “l’opera procedette, passo passo, con la precisione e la
rigida conseguenza di un problema matematico”. La prima regola attiene
all’estensione, atteso che se un’opera letteraria è troppo lunga per essere
letta in una sola seduta, è giocoforza rinunciare all’effetto che è dato dall’unità d’impressione “perché
interferiscono nella lettura le faccende del mondo e, così, ogni cosa in quanto
totalità è subito distrutta”. L’estetica
crociana ne esce preventivamente annientata. Rimane da capire come si possa
leggere e gustare la Divina Commedia in una unità di tempo.
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