martedì 7 aprile 2015

Quando la lingua di Cicerone gioca brutti scherzi



È successo qualche decennio fa in un liceo di Roma. Il testo, la frase, è semplice. “Ave Caesar, morituri te salutant”. Allo studente il compito della traduzione, che è lì, a portata di mano, scontata, senza dover spargere sudore sul foglio. Quello che però è facile, quasi apodittico, trattandosi di un noto motto proferito dai gladiatori che salutavano l’imperatore, diventa, nella mente del giovane traduttore, all’improvviso, un problema da crux desperationis. Ecco l’argomentare: “ave” è senza ombra di dubbio l’ablativo, in questo caso strumentale, di avis, che significa “uccello”. Il tutto, in italiano, suona quindi così: “Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano con l’uccello”. A proposito di latino, c’è solo da aggiungere: absit iniuria verbis.



Giacinto Zappacosta

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