È durata meno di ventiquattro ore l’illusione di Fabrizio Di Stefano. Lo ha certificato Berlusconi: le primarie, ‘strumento di consultazione popolare estremamente manipolabile e non in grado di esprimere il miglior candidato tra quelli in gara’, non s’hanno da fare, né ora, né mai. Non che l’ex presidente del consiglio abbia voluto rispondere all’empito proveniente da Casoli, del quale, è certo, non ha avuto nemmeno sentore, ma una cosa è sicura: Di Stefano è sfortunato. Pro domo sua, aveva chiesto a gran voce le primarie, ‘importante strumento da utilizzare in Abruzzo per i centri al di sopra dei 15mila abitanti’, pensando, ovviamente, a Vasto. La chiamata in causa di Giovanni Toti, governatore della Liguria, era finalizzata ad un certo discorso, che poi è quello di ricavare, e parliamo di Vasto, uno spazio, una visibilità ad un partito berlusconiano che, a livello locale, e non solo, annaspa. Eccoti, dunque, l’uno-due micidiale. Berlusconi, prima, e Toti, dopo, seppelliscono definitivamente le primarie. Meglio, dice il primo, ‘accordi tra le forze politiche per l’individuazione dei candidati in vista delle prossime elezioni amministrative’, mentre il secondo, ci mancherebbe, si precipita a dichiararsi sulla stessa lunghezza d’onda. D’altra parte, a Vasto, i contatti e le intese, nell’ambito del centro-destra, sono già approdati a qualcosa di molto concreto. Ora, pensare che si possa disfare tutto per fare piacere a Di Stefano è un po’ troppo.
Giacinto Zappacosta

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