I
‘cafoni’, Celestino V, Pietro Spina, gli ambienti e la narrazione. Qualche
spunto di riflessione
Nessuno ne imponeva la
lettura. Di più, la furia iconoclasta lo ha espunto dai programmi scolastici,
assieme ad altri autori, tutti meridionali. A maggior ragione, ora, nel deserto
culturale dove albergano le capre teognidee, benedico quelle ore passate,
qualche decennio fa, a leggere Ignazio Silone, parte integrante del percorso
extra-scolastico di noi vecchi Vastesi, programma non scritto né imposto da
alcuno. Riprendere in mano quei libri, soffermarsi sulle descrizioni di uomini,
di donne, dei ‘cafoni’, di quei paesaggi, di quelle figure tra le quali
giganteggiano Pietro Spina, Luca Sabatini, Celestino V e Bonifacio VIII, mi
riconcilia con la vita.
Al fondo, e non solo ne
‘L’avventura di un povero cristiano’, c’è quel dramma della inconciliabilità
tra il Cristianesimo istituzionalizzato, consegnato alla storia, ai
compromessi, nei suoi rapporti col potere politico, e il messaggio evangelico
nella sua purezza, verrebbe da dire, se non suonasse anfibologico, nella sua
‘integralità’. Certo, il dialogo tra Celestino, l’eremita divenuto papa, e lo
scaltro Bonifacio riecheggia, fatte le debite differenze di situazioni, quello
di cui alle pagine manzoniane tra il cardinale Federigo Borromeo e don Abbondio,
il primo a rammentare i doveri della persona consacrata, il secondo, nella sua
goffaggine, a rappresentare la liceità di adeguamenti costanti della dottrina,
degli ideali, alla prassi di tutti i giorni.
Ma in Silone c’è
dell’altro, e me ne rendo conto solo ora, dopo averlo riletto, per l’ennesima
volta, in questa calda estate. Quella aspirazione ad un Cristianesimo ‘ridotto
alla sua sostanza morale’ vorrebbe trovare il suo sbocco in una utopia, in una
terra incognita spogliata delle gerarchie ecclesiastiche, alle quali dovrebbe
succedere, come nella visione apologetica di Gioacchino da Fiore, il frate
calabrese stimato da San Tommaso d’Aquino e da Dante, la comunità dei credenti
ispirati e guidati dalla carità, dalla contemplazione e dalla pace. D’altro
canto, le domande ‘Che cos’è diventato il Cristianesimo adattandosi al mondo?
Fino a che punto esso l’ha trasformato o ne è stato corrotto?’ non trovano
risposta. È il dramma della storia. In quel tumultuoso colloquio fra Celestino,
l’ex-papa tenuto prigioniero, e il nuovo pontefice Bonifacio VIII, in realtà,
il lettore attento, al di là di una naturale simpatia per Pietro da Morrone,
non saprebbe a chi dare ragione. Il commento dello stesso Silone è
significativo: ‘Dirò dunque francamente che la realtà cristiana , hic et nunc,
mi sembra , nel suo insieme, bipolare, e forse lo resterà ancora per molto
tempo: concordataria ed escatologica,
storicizzata e profetica. Ogni cristiano – conclude lo scrittore abruzzese -
continuerà a trovare la collocazione che il più delle volte le circostanze gli preparano,
o a far la scelta che gli detta la coscienza’. La sintesi di tutto, drammatica,
appunto, è nella vicenda personale di un vicario di Cristo, morto prigioniero
dopo essersi dimesso e proclamato poi santo.
Giacinto Zappacosta
riproduzione vietata

Nessun commento:
Posta un commento