giovedì 26 novembre 2015

È giusto: aboliamo Manzoni. Poi Dante, poi lo studio della storia. Avanti così

Dubito che Renzi abbia letto I Promessi Sposi: ha altro da fare, cose più importanti. More solito, per assicurarsi visibilità, da attore consumato, si affida ad un’iperbole. “La penso come Umberto Eco: I Promessi Sposi a scuola andrebbero proibiti per legge. Perché obbligarli li ha resi odiosi e invece così tornerebbe il fascino per un capolavoro assoluto”. Così il presidente del consiglio alla School of government della Luiss. I resoconti dei cronisti non ne fanno cenno, ma immagino che ci siano stati degli applausi, provenienti anche dal corpo docente, il quale comunque non risulta abbia avuto un moto di ribellione o di timido dissenso. Neanche a fronte dell’evidente contorcimento logico nel quale si è infilato il peritus peritorum, il quale, così argomenta, vorrebbe inibire per restituire fascino al capolavoro manzoniano: il gusto perverso del proibito pervade la cultura. Ora, non è chiaro come si possa apprezzare un’opera della quale si vietino lo studio e la lettura. Si dirà: suvvia, maremma, si voleva significare altro, si voleva indicare la strada per emancipare la scuola da legacci e lacciuoli, per restituirla alla sua libertà funzionale, con l’unico intento di rendere piacevole quello che altrimenti viene in uggia, quella lettura, a casa o in classe, che, per forza di cose, diventa troppo pesante. È il verbo renziano che, carezzando graziosamente le testoline degli studenti, allevia, o annulla, la penosità insita in qualsivoglia attività umana, la fatica che pure bisogna affrontare per studiare Manzoni o un altro autore. Se ne viene ripagati, però, col centuplo. Leggere e rileggere quel libro, apprezzarne i particolari che prima ti erano sfuggiti, ammirare quella finezza, di stile e di introspezione psicologica, quel passo nel quale il Manzoni annota che il rossore sulle guance di Lucia era di natura diversa da quello che appariva sul viso della Monaca di Monza, e poi la potenza espressiva, mi verrebbe da dire pittorica, o, forse meglio, scultorea, che ti conduce, assieme a Renzo, di ritorno al suo paesello, nella desolazione di quell’orto, saccheggiato da molti e devastato da rovi ed erbacce: una specie di piacevole malattia, o una sana abitudine, che ti accompagna per tutta la vita. Le cui scaturigini sono da ricercarsi in quelle ore spese ad ascoltare la lettura in classe (scuola media) e relativa spiegazione di brani tratti da I Promessi Sposi, un approccio per il quale non ringrazierò mai abbastanza l’insegnante. E torniamo al punto. Demandare ad un’assemblea popolare permanente, della quale non è dato sapere se faranno parte anche gli studenti, la definizione dei programmi cui attenersi durante l’anno scolastico sarebbe il compimento di un ben preciso sviluppo, per me una chiara involuzione, un precipitato storico di quella demagogia che individua nella cultura un fardello da alleggerire. Se l’accesso del Manzoni nelle aule scolastiche degrada a mera facoltà, lo stesso vale per Dante, per Foscolo, per Machiavelli e per Cielo d’Alcamo. Deve viceversa valere, se vogliamo sottrarci al degrado, il principio della obbligatorietà dello studio di Manzoni e degli altri autori che questo scritto suso appella. Così come della storia e di quelle discipline che, tradizionalmente, accompagnano il percorso scolastico degli studenti.       

Giacinto Zappacosta

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