martedì 5 gennaio 2016

GLI ITALIANI DI CRIMEA

Ricevo da Marco di Michele Marisi e pubblico ben volentieri

Negli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento, gli zar cercavano manodopera specializzata per valorizzare le nuove terre sul Mar Nero. Chiamarono gli Italiani per coltivare ed importare la vite, e poi marinai e costruttori di navi. Vennero soprattutto dalla Puglia (Bisceglie e Molfetta), all’epoca Regno di Napoli, e dal Veneto orientale (Friuli ed Istria), all’epoca Impero d’Austria. Si concentrarono in maniera particolare ad Odessa, odierna Ucraina, ed a Kerč', attualmente Russia. Le comunità crebbero numericamente, tanto da costituire una percentuale significativa della popolazione, ed economicamente, grazie al lavoro ed alle indiscusse capacità tecniche.

Con la nascita del Regno d’Italia, tutti chiesero ed ottennero la cittadinanza italiana; anche i sudditi austriaci, per il principio di nazionalità. Nel 1917 scoppiò la rivoluzione, e gran parte degli Italiani di Odessa e del Mar Nero si rifugiarono in Romania, mentre invece gli Italiani di Kerč' e della Crimea rimasero quasi tutti al loro posto. I rimasti furono spogliati di tutte le loro proprietà e costretti a lavorare in pessime condizioni di vita. Con la ritirata delle truppe dell’Asse, furono considerati traditori da Stalin, fascisti anche se molti di loro non erano mai stati in Italia, ed il 29 gennaio 1942 furono deportati in massa nel lontano e gelido Kazakistan, morendo in gran parte durante il viaggio. I sopravvissuti, furono dispersi in un territorio vastissimo, senza alcun mezzo di sostentamento e lavoro. Molti, addirittura, furono costretti a cambiare cognome per porre fine alle persecuzioni e salvare in qualche modo la vita. Le vittime furono diverse migliaia. Con il crollo del comunismo, tentarono di tornare in Crimea ed a Kerč', dove non ebbero restituiti i loro beni.



Armenia, Grecia, Bulgaria e Turchia (per i tartari) hanno riconosciuto la loro deportazione ed hanno costretto l’Ucraina e la Russia a riconoscerla ufficialmente. L’Italia purtroppo no, e questi nostri fratelli sono ancora oggi in serie difficoltà economiche e sociali.

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