lunedì 17 ottobre 2016

AGONIA DI UNA LINGUA (E DI UNA NAZIONE)


L’agonia, dapprima lenta, ha subito un’accelerazione. Colpisce, a tutti i livelli ed in ogni ambiente, la mancata consapevolezza del disvalore, degli errori e degli orrori quotidiani che stanno massacrando la nostra meravigliosa lingua, l’idioma stupendo del quale dovremmo essere orgogliosi. Una lingua, consegnata alla storia e alla memoria dei pochi, che vivrà nei libri, affastellata nella desolazione di biblioteche polverose.
Qualche anno fa, mi permisi di correggere uno scritto vergato da una persona laureata. Un ‘qual’ è’, scritto proprio così, con un antiestetico e improponibile apostrofo, ferì il mio occhio e la mia sensibilità. Coi dovuti modi, feci notare, argomentando circa la differenza tra troncamento ed elisione, la impellente necessità, direi l’obbligo morale, prima che linguistico, di una correzione. In effetti, l’apostrofo scomparve immantinente, ma senza quell’intima consapevolezza, ed è questo il punto, senza la percezione delle scaturigini dell’atto ripartivo. Senza parafrasi, la persona, autrice del traballante elzeviro, non aveva capito un cazzo (no, quello, in senso proprio, lo capiva).
Ho sempre sostenuto, e mi vado rafforzando nella mia convinzione, che l’ignoranza sia il luogo geometrico del consenso, anche elettorale, dell’aggregazione a buon mercato. Vera e propria ideologia, con i suoi dogmi, riti ed organizzazione capillare, la non-conoscenza che massacra e stupra tutto quello che c’è di bello. A proposito di stupri, sono ormai entrati nel gergo quotidiano la orribile espressione ‘la donna abusata’e similari. Vale la pena far notare che il verbo ‘abusare’ in quanto intransitivo non può essere reso al passivo? È il caso di suggerire la correzione in ‘donna vittima di abuso’? No, rinuncio. Come rinuncio a spendere parole su un altro orrore nel quale ho avuto la disgrazia di imbattermi, la domanda che mi è stata rivolta più volte, senza che io avessi la forza o capacità di intervento. Sentirsi chiedere, più volte, con insistenza, ‘l’hai complimentata?’ è stato per me imbarazzante.
Come imbarazzante è sentire, nel parlamento italiano, da persone che ci rappresentano e che decidono sulle nostre sorti, frasi del tipo ‘ha parlato che’, così come offende quell’uso barbaro della ripetizione del complemento oggetto in proposizioni strampalate. ‘Tizio, che io lo conosco’, ‘Tizio e Caio, le cui storie non le conociamo’ sostituiscono ormai le ovvie incidentali di qualche tempo fa.
L’elenco, ampiamente incompleto, rende testimonianza del degrado cui abbiamo condannato la nostra parlata, degrado che accompagna l’imbarbarimento di una civiltà smarrita, forse, per sempre.

Giacinto Zappacosta  

riproduzione vietata   

Nessun commento:

Posta un commento