Prevale,
al di là del mio steccato che difendo con certezza di ragione, l’assioma,
sconclusionato e privo d’anima, che rimanda alla necessità di cambiare, di
modificare, non una legge ordinaria, ma la legge delle leggi, la carta
costituzionale, per il puro gusto di novellare, per poter dire a noi stessi, al
mondo “ecco, siamo stati bravi, abbiamo cambiato, siamo progressisti”.
Il
punto, apodittico, è un altro. Si modifica per andare a stare meglio, non per
peggiorare una situazione. Basterebbe questo, per la verità. Tra l’abolizione
del senato e la creazione di un senato impresentabile, la coppia Renzzi-Boschi
ha preferito, come direbbe Di Pietro, un inguacchio.
L’aborto
giuridico della legge di riforma, e mi meraviglio che nei dibattiti non emerga,
è principalmente nella inibizione al presidente della repubblica della facoltà
di sciogliere il senato. Il quale rimarrebbe nelle sue funzioni in caso di
scioglimento della camera dei deputati. Un imbroglio senza limiti e senza
verecondia.
Giacinto Zappacosta
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