Prima che sia troppo tardi, interveniamo a difesa della nostra storia: basterebbe poco
Dove non riuscì il Vesuvio, nella terribile eruzione del 79, poté l’incuria degli uomini. Noi tutti, Italiani del terzo millennio, non siamo stati in grado di preservare la Schola Armaturarum di Pompei, risparmiata, almeno in parte, perfino dai bombardamenti dell’ultima guerra. Persi per sempre i dipinti che abbellivano la domus, siamo qui a chiederci come sia stato possibile un evento del genere che, in uno Stato serio, dovrebbe avere come corollario le dimissioni del responsabile. Ma chi è il responsabile? Nessuno, come al solito, giacché il ministro competente, almeno questa è la sua querimonia, non ha a disposizione i fondi, mentre a livello periferico, da quello che si è capito, la gestione del sito archeologico è riconducibile ad una pletora di incarichi, non sempre all’altezza. Nel momento in cui se ne va un pezzo della nostra storia, in attesa che se ne perda anche la memoria, domandiamoci, noi Vastesi, cosa possiamo fare nella nostra realtà, come possiamo prevenire la rovina, sempre possibile, delle vestigia del nostro passato.
Il Palazzo, lu Palazze: l’antonomasia, sobria e immediata, rimanda ad un senso di appartenenza, ad un ritrovarsi attorno ad un manufatto, un edificio storico avvertito come proprio della comunità, di tutti noi, un palazzo, già dei d’Avalos, che custodisce considerevoli reperti, non inventariati. Questo è il punto. Chi ci garantisce che, nel corso degli anni, i quadri, per esempio, non siano stati allocati in abitazioni private? Perché non si interviene da subito, con carta e calamaio, a stilare una lista di quanto è all’interno del Palazzo? Visto che siamo sotto elezioni, sarebbe opportuno che tutti i candidati a primo cittadino si impegnassero per la salvaguardia della sede marchesale. Soprattutto, di quanto in essa contenuto, a cominciare dai dipinti di Carlo d’Aloisio da Vasto. Prima che sia troppo tardi.
Giacinto Zappacosta
pubblicato su Piazza Rossetti
Dove non riuscì il Vesuvio, nella terribile eruzione del 79, poté l’incuria degli uomini. Noi tutti, Italiani del terzo millennio, non siamo stati in grado di preservare la Schola Armaturarum di Pompei, risparmiata, almeno in parte, perfino dai bombardamenti dell’ultima guerra. Persi per sempre i dipinti che abbellivano la domus, siamo qui a chiederci come sia stato possibile un evento del genere che, in uno Stato serio, dovrebbe avere come corollario le dimissioni del responsabile. Ma chi è il responsabile? Nessuno, come al solito, giacché il ministro competente, almeno questa è la sua querimonia, non ha a disposizione i fondi, mentre a livello periferico, da quello che si è capito, la gestione del sito archeologico è riconducibile ad una pletora di incarichi, non sempre all’altezza. Nel momento in cui se ne va un pezzo della nostra storia, in attesa che se ne perda anche la memoria, domandiamoci, noi Vastesi, cosa possiamo fare nella nostra realtà, come possiamo prevenire la rovina, sempre possibile, delle vestigia del nostro passato.
Il Palazzo, lu Palazze: l’antonomasia, sobria e immediata, rimanda ad un senso di appartenenza, ad un ritrovarsi attorno ad un manufatto, un edificio storico avvertito come proprio della comunità, di tutti noi, un palazzo, già dei d’Avalos, che custodisce considerevoli reperti, non inventariati. Questo è il punto. Chi ci garantisce che, nel corso degli anni, i quadri, per esempio, non siano stati allocati in abitazioni private? Perché non si interviene da subito, con carta e calamaio, a stilare una lista di quanto è all’interno del Palazzo? Visto che siamo sotto elezioni, sarebbe opportuno che tutti i candidati a primo cittadino si impegnassero per la salvaguardia della sede marchesale. Soprattutto, di quanto in essa contenuto, a cominciare dai dipinti di Carlo d’Aloisio da Vasto. Prima che sia troppo tardi.
Giacinto Zappacosta
pubblicato su Piazza Rossetti
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