lunedì 7 febbraio 2011

I SINDACI PASSANO, RESTA LA CITTA’

Il carisma a servizio di Vasto

Incarnavano, chi più chi meno, l’animo di noi Vastesi, quella fierezza, che talvolta sconfina nell’alterigia, quella insofferenza nei riguardi della prepotenza, il forte desiderio, così come spiegato dal nostro Marchesani, di una parità sociale.
I primi sindaci del periodo post-bellico, a distanza di tempo, al di là delle contrapposizioni e delle simpatie, ci appaiono come dei giganti, capaci di dare corpo, nelle loro scelte amministrative, alla volontà popolare di rinascere dalle ceneri del disastro nel quale ci aveva fatto precipitare la seconda guerra mondiale, con i suoi strascichi della guerra civile. Di più, col loro carisma, i politici dell’epoca esprimevano un forte senso di appartenenza, assai generalizzato, che caratterizzava il cittadino vastese. Quel sindaco, spesso chiamato con l’appellativo di “don”, a significare un sentimento di rispetto e di confidenza insieme, era avvertito come uno di noi, uno che stava lì, a palazzo di città, per noi, per curare i nostri interessi e per realizzare le nostre aspettative.
Ecco i loro nomi, perché non se ne perda la memoria: Florindo Ritucci Chinni (sindaco dal 1946 al 1955), Olindo Rocchio (1955-56), Idiano Andreini (1956-62), Silvio Ciccarone (1962-73). Una città, Vasto, senza prospettive, in un Abruzzo che era ai margini della comunità nazionale e dello stesso Meridione, cominciava, faticosamente, a risalire la china. Nel 1947, sindaco don Florindo, ebbe inizio la costruzione del porto di Punta Penna: l’idea, auspice Spataro, era quella di dare un impulso all’economia locale, rompendo quell’isolamento, anche commerciale, che bloccava ogni possibilità di crescita. All’epoca, i nostri vecchi piansero la distruzione dello “scoglio spaccato”, dal quale sgorgava acqua potabile, sacrificato nell’ambito di quell’immenso cantiere. Si trattava, in ogni caso, già allora, di una infrastruttura di rilevanza nazionale, inserita, nella mente dei nostri amministratori, in una progettualità di ampio respiro, in una visione che andava al di là del ristretto orizzonte provincialotto. Idee, slanci, iniziative, opere pubbliche: tutto questo sembrava caratterizzare l’agire dei sindaci vastesi del primo trentennio di pace.
E poi gli istituti scolastici, che in quegli anni sorgevano come funghi nella nostra città: il Magistrale “Pantini” nel 1952, il Liceo-Ginnasio “Pudente” nel 1953, lo Scientifico “Mattioli” nel 1960, l’Istituto d’Arte nel 1961 e l’Industriale “Mattei” nel 1963. Sia chiaro, e per evitare equivoci: tutto questo pullulare non può essere ascritto in via esclusiva all’uno o all’altro amministratore, perché, come è ovvio, c’era anche, soprattutto, l’intervento dello Stato. Ma i nostri sindaci avevano la capacità di farsi ascoltare, se del caso imporsi, magari andando di persona a Roma (all’epoca, mancando le autostrade, era un’avventura) a perorare la causa di Vasto e a chiedere finanziamenti.
L’esempio più interessante, da un punto di vista storico e politico, di sindaco impegnato per la Città è senz’altro Silvio Ciccarone, per noi, che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, “don Silvio”. Era una figura carismatica, ma anche alla mano, disponibile al dialogo anche con me, che all’epoca ero un bambino. Seppe guidare la fuoriuscita dei dissidenti democristiani, che non si riconoscevano più nello Scudo Crociato, verso una lista civica, “Il Faro”, cosa impensabile a quel tempo, ma che ora, per motivi che meriterebbero un approfondimento a parte, torna prepotentemente di attualità. Quella rottura con la DC aveva due motivazioni di fondo, una di carattere sociale-economico, in riferimento a quei nuovi ceti imprenditoriali che legittimamente volevano una loro rappresentatività nelle sedi politiche, una (sulla quale, secondo me, non si è ancora riflettuto abbastanza) inerente l’etica politica. Era la questione morale che già faceva capolino in Città, con quel disappunto nei confronti di un partito, la DC appunto, che lasciava trasparire quel deficit comportamentale non esattamente coincidente con la dottrina cristiana. Don Silvio fu capace, con “Il Faro”, di vincere e di fare il sindaco. “Abbiamo vinto” esclamò, davanti ai suoi più stretti collaboratori, a risultati elettorali acquisiti. L’empito, riferiscono i presenti, fu accompagnato da un pugno sul tavolo, il quale, mal sopportando il colpo, si ruppe. Cominciò l’era “farista”, l’era della lista civica che amministrava la Città. Con un occhio e un’attenzione anche alla cultura: Ciccarone, da sindaco, incaricò, nel 1965, il preside Mario Sacchetti, componente della sua amministrazione, di curare un’edizione della Storia di Vasto scritta dal Marchesani, il nostro maggiore storico. Dobbiamo dunque a don Silvio se ogni famiglia vastese, almeno quelle che ci tengono, ha in casa una copia di quel libro.
Nel 1973 ha termine la stagione del Faro, ma probabilmente non le sue istanze, ancora presenti. Silvio Ciccarone si ritira a vita privata. Andai a trovarlo, quando ero ormai adolescente, nella sua casa di campagna, tra S. Antonio e S. Michele. Mi raccontò di aver chiesto, da giovane, un colloquio a Raffaele Mattioli per domandargli un consiglio di carattere professionale. Il grande vastese gli suggerì di entrare in un centro studi di un sindacato per approfondire le tematiche economiche. “L’avessi ascoltato!” fu la sua conclusione. Lo rividi, questa volta a casa mia, invitato per una pizza, nel 1985. Fu l’ultimo incontro.
Dopo il Faro e don Silvio, fu sindaco, a partire dal 1973, Nicola Notaro, esponente democristiano. È stato il primo ad intuire l’importanza del recupero del centro storico e del suo inserimento in un contesto urbano vitale, non mummificato. Poco propenso ai compromessi, anche per una inclinazione caratteriale, preferiva lo scontro, per esempio nelle vertenze col personale dipendente, e le posizioni nette, chiare. Probabilmente, si tratta di un pregio. Buon oratore, amava ogni tanto parlare in dialetto, anche in pieno consiglio comunale.
La sua forte personalità è l’esatto opposto del suo immediato successore, Antonio Prospero (1979), portato, per calcolo, al compromesso, alla palude immota e stagnante, all’accordo al ribasso. Ma qui comincia un altro capitolo, ha inizio un’altra storia, poco entusiasmante. I tempi dell’attualità hanno il lento decadere e ben pochi sussulti di dignità. La lista Civica “Rinnovare”, nella sua prima edizione, fece ritrovare il senso della “vastesità” perduta e la voglia di fare, ma ben poco durò questa esperienza; il suo slancio, interrotto dalle scelte politiche egoistiche del suo promotore, lasciò il campo alla litigiosità interna dei partiti che minò, alla base, i programmi e la tenuta amministrativa del Sindaco Pietrocola.
Il resto è attualità, nel segno della mediocrità e del costante impoverimento sociale ed economico della città. Oggi c’è da auspicare che parta, finalmente, l’azione di rilancio per la modernizzazione e la consapevolezza, affinché ai passi a ritroso non si unisca la psicologica depressione di una intera cittadinanza che avverte la tristezza di un luogo che ingrigisce e che, invece, tanto ha rappresentato nella storia d’Abruzzo.

Giacinto Zappacosta

pubblicato sull'ultimo numero de Il Taglio in forma ridotta per esigenze di spazio

2 commenti:

  1. Grazie Giacinto per l'esuriente riepilogo della nostra recente storia amministrativa. Aggiungo solo che l'ottimo don Florindo Ritucci Chinni fu sindaco di Vasto anche prima della guerra e, tra le tante iniziative amministrative, si "inventò", nel 1922, anche un "Istituto Commerciale Comunale" che tre anni dopo fu regificato e divenne l'unico Istituto Commerciale ad indirizzo Mercantile della Regione Abruzzo. Infatti la lungimiranza degli Amministratori di allora fu tale che quell'Istituto non fu legato al Ministero dell'Educazione Nazionale, bensì al Ministero dell'Economia e da qui l'indirizzo "Mercantile" che richiamò a Vasto studenti di tutta la Regione tra cui il grande e compianto economista Federico Caffè.
    Grandissimo il carisma di don Silvio Ciccarone, ma la vittoria della lista "Faro" fu anche dovuta alla crisi dell'economia agricola, rappresentata allora dalla DC egemonizzata dalla Coldiretti, e l'affermazione della nuova imprenditoria locale che, solo più tardi, troverà il suo rappresentante in Nicola Notaro. Anche l' esigenza di una nuova etica politica ebbe un ruolo notevolissimo. Una parte della chiesa locale fece delle scelte fondamentali e molto impegnative. Ma quella era una Chiesa profetica, ancora piena delle grandi speranze conciliari.....E qui il discorso si fa tremendamente lungo e complesso.

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