di Ruggero Guarini
L’altra notte ho sognato Franceschiello. Infilato nella sua divisa di ultimo re di Napoli, aveva ancora l’aspetto del simpatico ragazzo che era un secolo e mezzo fa, nei giorni della fine del suo Regno. In piedi accanto al mio letto, mi ha guardato per un po’ in silenzio; poi sorridendo ha esclamato: “Ma che razza di italiani siete! Non lo sapete che la vostra patria esige che voi la condanniate?”
Lì per lì non ho capito che cosa volesse dire. Ma poi lui, dopo aver contemplato in silenzio, per qualche minuto, con espressione alquanto divertita, il mio volto vagamente stupefatto, mi ha garbatamente rivelato il senso della sua domanda confessando di avere appena scoperto che il nostro culto del Risorgimento, rilanciato con grande fermezza dalle cerimonie in corso per festeggiare il 150° compleanno dell’Italia Una, è assolutamente incompatibile con un’altra gagliarda professione di fede: la venerazione della nostra Costituzione professata con lo stessa fermo entusiasmo dai medesimi officianti delle suddette celebrazioni.
“Maestà, se non ho capito male – ho replicato – voi intendete negare agli ammiratori della nostra carta costituzionale il diritto di nutrire, contestualmente, sentimenti di rispetto e devozione anche per la causa dell’unità italiana…”
“Proprio così” ha risposto. Quindi, con un sorrisetto affettuosamente sardonico sulle labbra, ha aggiunto: “Ho la non troppo vaga sensazione che il forte attaccamento di molti di voi ai valori e ai principi espressi nella Costituzione della vostra Repubblica e la loro simultanea devozione agli ideali che ispirarono il movimento unitario formino insieme, nei loro spiriti patriottici, una sola incrollabile fede, paragonabile, per la sua saldezza, a quella, altrettanto irremovibile che i veri cristiani ripongono, o dovrebbero riporre, nel loro Credo. Eppure quelle due fedi, ripeto, sono assolutamente inconciliabili”.
“Maestà, vi prego, spiegatemi perché!”
“Molti sono gli articoli di quella Carta che fanno a pugni con lo spirito del Risorgimento ma forse basterà che ve ne indichi soltanto uno: il primo. Bene: vi sembra che una Repubblica che, dichiarandosi fondata sul lavoro, esprime fin troppo chiaramente una vocazione al culto delle masse lavoratrici, possa credersi erede di un evento che fu concepito, promosso e attuato da patrioti che potevano vantarsi di essere tutto fuorché dei lavoratori?”
“Maestà, ma che cosa dite! Non erano forse un lavoro, un nobilissimo lavoro, le attività teoriche e pratiche che essi svolsero al servizio della loro causa?”
“Amico mio, vedo che non avete ancora capito che a quel genere di attività può dedicarsi, con la necessaria dedizione, una sola classe sociale: quella degli sfaccendati. Ma di questo parleremo un’altra volta. Intanto dormiteci sopra”.
L’altra notte ho sognato Franceschiello. Infilato nella sua divisa di ultimo re di Napoli, aveva ancora l’aspetto del simpatico ragazzo che era un secolo e mezzo fa, nei giorni della fine del suo Regno. In piedi accanto al mio letto, mi ha guardato per un po’ in silenzio; poi sorridendo ha esclamato: “Ma che razza di italiani siete! Non lo sapete che la vostra patria esige che voi la condanniate?”Lì per lì non ho capito che cosa volesse dire. Ma poi lui, dopo aver contemplato in silenzio, per qualche minuto, con espressione alquanto divertita, il mio volto vagamente stupefatto, mi ha garbatamente rivelato il senso della sua domanda confessando di avere appena scoperto che il nostro culto del Risorgimento, rilanciato con grande fermezza dalle cerimonie in corso per festeggiare il 150° compleanno dell’Italia Una, è assolutamente incompatibile con un’altra gagliarda professione di fede: la venerazione della nostra Costituzione professata con lo stessa fermo entusiasmo dai medesimi officianti delle suddette celebrazioni.
“Maestà, se non ho capito male – ho replicato – voi intendete negare agli ammiratori della nostra carta costituzionale il diritto di nutrire, contestualmente, sentimenti di rispetto e devozione anche per la causa dell’unità italiana…”
“Proprio così” ha risposto. Quindi, con un sorrisetto affettuosamente sardonico sulle labbra, ha aggiunto: “Ho la non troppo vaga sensazione che il forte attaccamento di molti di voi ai valori e ai principi espressi nella Costituzione della vostra Repubblica e la loro simultanea devozione agli ideali che ispirarono il movimento unitario formino insieme, nei loro spiriti patriottici, una sola incrollabile fede, paragonabile, per la sua saldezza, a quella, altrettanto irremovibile che i veri cristiani ripongono, o dovrebbero riporre, nel loro Credo. Eppure quelle due fedi, ripeto, sono assolutamente inconciliabili”.
“Maestà, vi prego, spiegatemi perché!”
“Molti sono gli articoli di quella Carta che fanno a pugni con lo spirito del Risorgimento ma forse basterà che ve ne indichi soltanto uno: il primo. Bene: vi sembra che una Repubblica che, dichiarandosi fondata sul lavoro, esprime fin troppo chiaramente una vocazione al culto delle masse lavoratrici, possa credersi erede di un evento che fu concepito, promosso e attuato da patrioti che potevano vantarsi di essere tutto fuorché dei lavoratori?”
“Maestà, ma che cosa dite! Non erano forse un lavoro, un nobilissimo lavoro, le attività teoriche e pratiche che essi svolsero al servizio della loro causa?”
“Amico mio, vedo che non avete ancora capito che a quel genere di attività può dedicarsi, con la necessaria dedizione, una sola classe sociale: quella degli sfaccendati. Ma di questo parleremo un’altra volta. Intanto dormiteci sopra”.
Accipicchia che sogno...
RispondiEliminaNon sono ancora riuscita a trovare il tempo necessario per approfondire, ma mi sembra di aver letto da qualche Parte, che anche Garibaldi ebbe dei rimorsi o comunque dei ripensamenti su ciò che fece al Sud.
Ma non ho compreso se li ebbe per via di come fu dislocato da cariche importanti, oppure perchè davvero aveva compreso l'inganno...