Nella sostanziale indifferenza dei paladini dei “diritti riproduttivi”, e in barba ai diritti elementari della persona (tra i quali dovrebbe esserci prima di tutto quello di nascere, anche se si è di sesso femminile), in India continuano ad aumentare gli aborti selettivi delle bambine. Sono mezzo milione l’anno, sostiene uno studio dell’Università di Bristol condotto dall’economista anglo-indiana Sonia Bhalotra, e sono cresciuti in una proporzione “senza precedenti” anche nelle famiglie indù più ricche e istruite. Non sono quindi solo i tradizionali motivi di indigenza ad alimentare un fenomeno così odioso.I maschi, come noto, nella società indiana sono considerati fonte di sicurezza economica nella vecchiaia dei genitori, mentre le femmine hanno bisogno di una dote per sposarsi e sono destinate a vivere nella famiglia del marito. Dopo i primi allarmi sulle “femmine mancanti” nelle statistiche demografiche, nel 1996 l’India si è dotata di una legge che proibisce gli aborti selettivi per sesso. Una norma impotente, nei fatti, a impedire che con un’ecografia, offerta per poche rupie da persone che girano nei villaggi rurali con apparecchiature portatili, le femmine siano individuate e poi abortite.
Lo studio dell’Università di Bristol rileva che anche dove c’è già un maschio si preferisce non far nascere femmine, e questo va ad aggravare uno squilibrio tra i sessi già in atto. Nel 2008 si calcolava che in alcuni distretti del Madhya Pradesh c’erano già 400 donne ogni 1000 uomini.
(Il Foglio)
titolo e foto a cura di Cana Culex
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