lunedì 23 gennaio 2012

Su Luisa Sanfelice hanno ragione i napoletani furiosi

Ruggero GUARINI
da Il Giornale, 27.01.2004


I borbonici di Napoli infuriati con la Rai per il film dei fratelli Taviani su Luisa Sanfelice hanno assolutamente ragione. Non perché il film è un inverecondo falso storico (dopotutto nessuna legge proibisce di falsificare la storia). Ma perché è stato prodotto dalla televisione di Stato. Che ha così contribuito a rilanciare, coi soldi del contribuente, non una ma ben due colossali panzane storiche.

La prima riguarda proprio la Sanfelice. Che lo stesso Benedetto Croce, con tutta la sua devozione per i martiri della Repubblica partenopea, definì «donna di poca testa». Mentre i Taviani, attenendosi a una leggenda assolutamente infondata, ne hanno fatto un'eroina della causa giacobina. Come se non fosse arcinoto che la poverina fini sul patibolo per motivi che niente hanno a che fare con la passione politica, ma molto, invece, con le avventure galanti.

La seconda riguarda i fatti del '99 napoletano. Che nel film sono ancora una volta presentati come se la famosa Repubblica partenopea fosse nata veramente, come vuole un'altra leggenda, da una «rivoluzione» dei giacobini locali. Mentre si è sempre saputo che non ci fu alcuna rivoluzione, giacché quegli eroi, se non fossero arrivati i francesi, non avrebbero sparato neanche un tric-trac.

Ecco qualche ragguaglio sull'argomento. Gennaio 1799. Le truppe napoleoniche sono alle porte di Napoli. L'esercito borbonico si è dissolto. Il re e la regina sono scappati in Sicilia. Nella città abbandonata a se stessa comanda la plebe infuriata. I capi giacobini, sapendosi odiati dal popolo, si sono rifugiati nel forte di Sant'Elmo. I francesi entrano infine in città avanzando fra ottomila cadaveri di popolani caduti in una vana, disperata resistenza. Allora i giacobini, legittimati e protetti dagli archibugi francesi, proclamano la Repubblica. Dov'è la «rivoluzione»?

Ed ecco il vero dramma della Sanfelice. Aprile 1799. I giacobini sono al potere da tre mesi. Luisa, vivace signora di trentaquattro anni, continua come sempre a folleggiare nei salotti. Ha un marito e almeno due amanti. Uno di essi, Francesco Ferri, è un fiero repubblicano. L'altro, Gerardo Baccher, è invece un fiero borbonico. Così fiero che col fratello e alcuni amici realisti ordisce un congiura per far cadere la Repubblica. Quindi, nell'imminenza della rivolta, consegna a Luisa un salvacondotto col giglio borbonico che avrebbe dovuto permetterle di uscire indenne dalla città. Lei se lo infila fra i seni, ma una sera l'altro amante, il Ferri, abbracciandola, lo scopre. Conclusione: l'amante repubblicano la costringe a denunciare l'amante monarchico, il complotto viene scoperto, i fratelli Baccher e gli altri cospiratori vengono impiccati e Luisa viene esaltata dai giacobini come madre della Patria e salvatrice della Repubblica. Dov'è l'eroismo di quella sventata?

Il suo martirio, insomma, fu un martirio non voluto. Giacché a quella sventurata della causa giacobina in realtà non importava niente. Ragion per cui allorquando, caduta quella Repubblica fantoccio e tornati i Borbone a Napoli, fu a sua volta condannata a morte, le toccò di andare al patibolo senza poter trovare nemmeno, come osservò ancora Croce, «la scusa e il conforto del fanatismo politico». Anzi col cuore gonfio di rimorsi per quella sua codarda delazione.

1 commento:

  1. Vorrei aggiungere qualche considerazione sul re Ferdinando e la morte della Repubblica Napoletana del '99. Va detto che Ferdinando era il terzo figlio del grande re Carlo di Borbone. Fu "abbandonato" dal padre all'età di otto anni perchè Carlo dovette andare in Spagna a caricarsi l'onere della corona spagnola per la morte del fratello Ferdinando VI. Nonostante fosse l'erede al trono venne educato da una popolana, Agnese Rivelli, che lo farà giocare soprattutto con il figlio Gennaro analfabeta. A sedici anni. il giorno della proclazione della sua maggiore età e quindi dell'assunzione delle responsabilità regali, non lo trovarono o lui non si fece trovare per non essere distolto dai suoi giochi popolani. Sconfitto da Napoleone nel 96, nonostante la pace di Brescia dichiarò di nuovo guerra alla Francia nel 98 vista l'assenza di Napoleone. In sei giorni entrò a Roma con l'intento di rimettere sul trono il Papa (anche a Roma si faceva una esperienza repubblicana), ma si comportò con tale arroganza "padronale" da suscitare la rabbia e l'odio dei romani. Cede presto alla reazione francese e fugge a Napoli il 21 dicembre, in tempo per prendere il tesoro della corona ed imbarcarsi sulla nave inglese Vanguard per Palermo. Fu questo campione di re che l'8 luglio del 1799, con Napoli riconquistata dall'esercito sanfedista del cardinale Ruffo, torna in città, impone la resa "senza condizioni" agli ultimi irriducibili e poi....via ai processi. A fare le spese della reazione furono personaggi del calibro di Mario Pagano, Francesco Caracciolo, Vincenzo Cuoco, Eleonora Pimentel, Bernardo della Torre, arcivescovo di Napoli e tanti altri "stregati" dall'Illuminismo più che dalla Rivoluzione Francese.

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