venerdì 20 gennaio 2012

UN CIMITERO PER I NON-NATI

(di Danilo Quinto) Chi ritiene che la vita nascente equivalga al nulla – solo un “grumo di cellule” – reagisce con disprezzo rispetto a quelle iniziative che vogliono evitare di trattare i bambini che per scelta non nascono come rifiuti speciali. Dare degna sepoltura ai bambini non nati – come di recente ha deciso il Comune di Roma, individuando un’area di 600 mq. nel cimitero Laurentino e come altre amministrazioni in varie parti d’Italia avevano già fatto, anche grazie all’impegno dell’”Associazione Difendere la Vita con Maria” – non incide sulla legge 194 sull’interruzione di gravidanza.
L’aborto, nel nostro Paese, rimane libero e gratuito. Un diritto, non un delitto. Eppure, si scatenano l’ira e l’accanimento di molti. Tra questi, ci sono coloro che sostengono – in base ai principi dell’autodeterminazione e della libertà individuale – che sia la medesima cosa mettere al mondo un figlio o sopprimerlo e che sono stati i principali artefici di questa mostruosità decretata per legge. Si afferma – lo ha fatto, ad esempio, la deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, in un’interrogazione urgente alla Camera dei Deputati del 6 gennaio 2012 – che dare sepoltura ai bambini non nati è un’«iniziativa illegale».
Probabilmente, la deputata ignora che la legislazione italiana è chiara a questo proposito, perché dispone, in caso di morte – per aborto spontaneo o procurato – di bambini concepiti e non ancora nati, lo stesso trattamento di sepoltura dei bambini nati morti o morti dopo la nascita.
Il DPR n. 285 del 10 settembre 1990, prescrive all’art. 7, comma 2: «Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’autorità sanitaria locale»; l’art.7 comma 3, dice: «A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti, con la stessa procedura, anche prodotti di concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane»; l’art.7, comma 4, afferma: «Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione o estrazione del feto, domanda di seppellimento all’unità sanitaria locale, accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione e il peso del feto»; l’art. art.50, comma 1, recita: «Nei cimiteri devono essere ricevuti (…) i nati morti e i prodotti del concepimento di cui all’art.7».
La Circolare Ministeriale del 16 marzo 1988, recita: «Si ritiene che il seppellimento debba di regola avvenire anche in assenza di detta richiesta (quella dei genitori dei prodotti di concepimento abortivi di presunta età inferiore alle venti settimane, ndr). Lo smaltimento attraverso la linea dei rifiuti speciali seppur legittimo urta contro i principi dell’etica comune».
Già, l’etica comune. Quella, immaginiamo, in base alla quale i consiglieri regionali della Lista Bonino alla Regione Lazio, Berardo e Rossodivita, in un’interrogazione alla Giunta Polverini, chiedono, in relazione all’iniziativa del Comune di Roma riguardante la sepoltura dei feti, di «conoscere quali siano le risorse che le Asl, in un tempo di crisi così grave per la sanità, dovrebbero mettere in campo».
A costoro, espressioni di quella che Benedetto XVI chiama la «cultura del disincanto totale» e che porta l’uomo a non distinguere tra quello che è umano e quello che umano non è, ci limitiamo a rispondere che esiste in tutte le culture una pratica antichissima, quella della pietà, intesa come dovere di compassione per i morti, per dare loro dignità. Per i cristiani, sta alla base del sentimento di fede, ma per tutti appartiene al corpo dei principi di diritto naturale. Proprio quelli che, anche in questo caso, si vorrebbero cancellare. Con spregiudicatezza, indifferenza e cinismo. (Danilo Quinto)

da Corrispondenza Romana

(titolo e foto a cura di Cana Culex)

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