sabato 23 febbraio 2013


Grammatica delle dimissioni: è iniziata la manipolazione mediatica?

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(di Davide Greco su www.nocristianofobia.org) Già, le dimissioni di Benedetto XVI. In questi giorni si sprecano ovunque commenti da fonti e persone più o meno autorizzate a farlo.
Dal canto nostro, come linea editoriale, abbiamo scelto di non aggiungere ulteriori considerazioni, ma di analizzare invece la progressione dei commenti stessi. Vedere cioè come sono costruiti.
Una delle prime domande che ci siamo posti è stata: esiste una manipolazione mediatica su questo evento? E se sì, come è fatta?
Sin da subito, nel marasma dei primi momenti, abbiamo notato una certa uniformità delle notizie. Ma, nonostante l’apparenza, qualcosa di diverso c’è. Si sarà notato, ad esempio, che salvo pochissimi casi, quasi nessuno ha messo in discussione la decisione di rassegnare le dimissioni. I pochi esempi noti, stranamente, sono quasi tutti di area cattolica.
Eccezionalità vs. Prevedibilità.
La cosa migliore è tracciare delle griglie. Provvisorie quanto si vuole, ma che consentano di volgere lo sguardo almeno da qualche parte.
Uno degli aspetti che subito balzano all’attenzione è che quasi tutta la stampa laica ha sottolineato il valore eccezionaledelle dimissioni. La stampa cattolica invece, dopo un primo momento di disorientamento e pur considerando la gravità della situazione, si è concentrata su una certa prevedibilità del gesto. Ovvero ha cercato di condurre le proprie riflessioni in ambiti già noti, già vissuti dalla tradizione. Con sincerità, senza nascondersi nulla, ma con l’intenzione di smorzare i toni più allarmistici.
Innanzitutto con un assunto difficilmente smontabile: le dimissioni sono previste dal Diritto Canonico. Roberto De Matteiha dedicato in questi giorni un ampio articolo proprio su questo tema.
Le sue conclusioni non sono comunque così consolatorie come si crederebbe. In conda al pezzo, De Mattei precisa: “la rinuncia dal pontificato di Benedetto XVI appare come un gesto legittimo dal punto di vista teologico e canonico ma, sul piano storico, in assoluta discontinuità con la tradizione e la prassi della Chiesa”.
In mezzo a queste posizioni (eccezionale vs. prevedibile) c’è tutto un sottobosco di punti di vista sfumati, che raccolgono pezzi di ragionamento un po’ di qui e un po’ di là.
Per quanto possano sembrare tagliate alla grossa nei singoli casi, questi due termini di opposizione corrispondono a delle precise identità culturali, che si muovono in modo diverso di fronte ad un evento che sconvolge.
Il linguaggio tuttavia non è mai neutro e ha sempre in sé un sottinteso fare. Ogni argomentazione contiene cioè una spinta, una capacità di muovere l’interlocutore verso una direzione precisa.
In pratica, il linguaggio condiziona.
Così se una delle due tesi condiziona per tranquillizzare, l’altra lo fa per sovvertire.
Cerchiamo però di motivare meglio.
L’umanità di Benedetto XVI.
Se la parte cattolica si interroga sul senso delle dimissioni concentrandosi su dettagli tecnici, la parte più secolarizzata le prende come un dato di fatto. Anzi, plaude il gesto. E gli riconosce una enorme grandezza umana.
Ed ecco comparire le cosiddette “dimissioni laiche”, nelle quali il Papa è paragonato ad un dirigente pubblico di alto livello che si dimette per ragioni condivisibili e molto umane.
Questo è un punto interessante, non tanto perché spesso proviene da coloro che fino a qualche giorno fa sparavano a zero sulla Chiesa, ma perché comporta un sottile ragionamento.
Ponendo l’accento sul lato più umano del Papa, si scavalca o si sostituisce il valore soprannaturale della sua carica e, di riflesso, anche quello della Chiesa in generale.
Per fare un esempio pratico di dove possa condurre questa argomentazione, si veda la provocazione di Gianni Vattimosul Fatto Quotidiano del 13 febbraio. Già dal titolo le intenzioni sono chiare: “E se il Papa avesse avuto una crisi di fede?”. Qui ovviamente si sta parlando di un Papa umano, troppo umano, che potrebbe perdere la fede come un qualsiasi cattolico domenicale. Ma attenzione, non la perde perché è combattuto dentro, ma perché la Chiesa fuori è tale oggi da far perdere la fede pure a un Papa.
E infatti prosegue: “È un’ipotesi niente affatto ingiuriosa e inverosimile […] Si è probabilmente reso conto che, nella situazione della Chiesa oggi, le dimissioni sono la sola cosa che un papa può seriamente fareinvece di continuare a lottare per sottrarre il Vaticano all’Ici, o a scomunicare preservativi, omosessuali, unioni civili”. Fino ad arrivare al non mai troppo di moda: “Se Gesù vivesse oggi tra i suoi pseudo-successori abbandonerebbe immediatamente il Vaticano, forse tornerebbe in Palestina per star vicino ai perseguitati ed espropriati di laggiù”.
Questo è lo stesso Vattimo che sul numero di “Panorama” del 14 febbraio (p. 27) viene definito “cattolico praticante” e la cui intervista inizia in questo modo: «“Un gesto molto bello,” Gianni Vattimo ha apprezzato la decisione di papa Benedetto». Beh, adesso sappiamo che a Vattimo sono piaciute le dimissioni. Menomale, eravamo tutti preoccupati che non fosse d’accordo.
Ma almeno, alla fine delle due colonne su “Panorama”, il buon Vattimo ci rende chiaro un concetto chiave: “L’aspetto esistenziale ha avuto la meglio su quello dogmatico”.
Ecco siamo al punto. Sì, perché l’insistenza sull’umanità del Papa comporta almeno altri due corollari. Vediamoli.
Anzianità.
È un gioco abbastanza semplice. Prima si dice che il Papa è vecchio e ha fatto bene ad andare in pensione, poi si accosta il gesto agli enormi problemi che la Chiesa dovrà affrontare.
Il mondo è giovane e moderno, la Chiesa stra-vecchia. Grandi problemi richiedono grandi rivoluzioni. Ci vuole un Papa giovane che sappia dare un colpaccio bruto a tutto il fastidioso retaggio della Chiesa. Facile, no?
Questo ragionamento dimentica che la Chiesa ha sempre affrontato problemi enormi e che non li ha mai risolti stravolgendo la propria tradizione.
Eppure si finge di non saperlo. E qui i casi si sprecano.
L’esempio migliore in questo senso, per acutezza e sintesi, è quello di Gad Lerner sul suo blog (articolo apparso su “Vanity Fair”, il grassetto è nostro). L’inizio è del tutto affabile, amichevole. Le dimissioni vengono definite: “un gesto distraordinaria umanità e di portata storica epocale. La fragilità di un uomo mite, innanzitutto, consapevole dei limiti delle sue forze superata la soglia degli 85 anni”. Ma subito dopo ecco che troviamo una “Chiesa ridotta a scialuppa che imbarca acqua da tutte le parti”.
Per finire al prossimo conclave in cui bisognerà: “aprirsi al mondo circostante con fiducia e amicizia, anche se ciò comporta il superamento di rigidità dogmatiche di cui ha misurato l’anacronismo; oppure rattrappirsi in una difesa della tradizione accumulando ritardo a ritardo, come ricordava nel settembre 2012, nella sua bellissima testimonianza postuma, il Cardinale Carlo Maria Martini: siamo rimasti indietro di 200 anni!”. “Dopo Benedetto XVI nulla sarà come prima nella Chiesa cattolica universale”.
Si tratta di un progress niente male. Eccezionalità, anzianità, problemi enormi, anzianità della Chiesa, svolta e superamento. Ma quello che sembra molto chiaro è che insistere sull’umanità e sull’anzianità di Benedetto XVI è l’arma iniziale perfetta per far passare una serie incredibile di affermazioni.
La resa. Ma è Benedetto XVI a dimettersi o tutta la Chiesa?
Alcuni, tanti, fanno un parallelo fra l’anzianità del Papa e quella della Chiesa. Come si è dimesso uno, si deve dimettere anche l’altra.
Eloquente è l’immagine di copertina dell’ultimo numero di Panorama, intitolato con ambiguità “La Resa”. Furbescamente viene proposta una foto del Papa di spalle e su fondo nero. È quindi un uomo solo davanti ad un destino ignoto e oscuro. Ma non solo. Ripreso di spalle non sembra neanche Benedetto XVI, ma un Papa qualunque. Per sineddoche, ovvero la parte per il tutto, istintivamente si è portati a pensare che la resa non sia solo sua, ma quella di tutta la Chiesa.
Nel sottotitolo, presentato un fantomatico “rapporto segreto” (dai contenuti sconvolgenti) che avrebbe convinto in maniera definitiva il Papa a dimettersi. E vai col complottismo.
In un certo senso, qui si propone una versione beta della retorica sull’anzianità-debolezza. L’uomo Ratzinger si è dimesso non per stanchezza, non per vecchiaia, ma perché sconfitto da trame pazzesche, documenti segreti spaventosi. Va bene, a chi piacciono queste ricostruzioni fantapolitiche potrà trovare pane per i suoi denti.
Ma, vediamo un po’: come si intitola il pezzo che apre l’approfondimento? Ovviamente “Ecce Homo”. Adesso sappiamo perché.
La resa della Chiesa dimissionaria permette svarionate colossali, il cui campione rappresentativo è come sempre Don Gallo. Dopo il “sogno della rete” di questi giorni che lo vorrebbe Papa, e dopo un intervento a La7 di lunedì scorso in cui non le ha sparate alte, ma altissime, ecco come viene descritto in un giornale locale di Genova: “Secondo il prete di strada adesso è il momento di “un mini concilio con pochi punti”: primo la collegialità “dei vescovi e con i fedeli”, un’assemblea “che parla e non ha ingerenza”. Secondo, affrontare i temi della bioetica. “La chiesa deve ascoltare”, ha sottolineato. Terzo, l’ordinanza femminile e il celibato del clero”.
Altro ancora?
Conclusioni.
Tutte queste retoriche si basano su un concetto di fondo. Quello per il quale si conosce il mondo a partire da ciò che possiamo toccare, prendere in mano, con un contatto diretto. Tutto ciò che, invece, è incomprensibile o sfugge al senso immediato deve essere ricondotto “alla mano” o alla mani-polazione.
Di regola un Papa, per via di una componente anche soprannaturale, non può essere ricondotto alle beghe della vita quotidiana. Umanizzandolo fino alla fragilità, però, si riesce a manipolare il suo status tanto da renderlo uno strumento. Così da riuscire veramente a produrre argomentazioni che poi possono essere date in pasto alla stampa.
Ridurre le dimissioni ad una questione di stanchezza o anzianità non è solo svilire quel ruolo che non è mai stato giovanile, ma ridurlo ad un qualcosa di conosciuto, di manipolabile, che si può prendere in mano.
Una volta confezionato il prodotto mass-mediatico, si può sdoganare con tranquillità in tutti i contesti. Compreso quello del consenso che la Chiesa non avrebbe più da molti anni.
Ma, ancora, la Chiesa non è un partito politico che deve cercare consensi, non lo è mai stata. A partire dal suo fondatore che, se avesse cercato il plauso generale, non sarebbe finito in croce. No, la Chiesa è una pietra che fa inciampare, che ti obbliga a prendere delle posizioni precise. In questo contesto non c’è reversibilità, non c’è una doppia faccia.
Per questo la stampa cattolica cercherà di riportare i termini del discorso alla “normalità”, dove tutto o quasi può inserirsi all’interno di una tradizione già solcata, dove il dibattito può essere gestito senza stravolgere o sovvertire.
E tutto ciò darà fastidio a tutti quelli che vogliono trasformare la Chiesa in qualcosa che non può essere, senza perdere la sua identità.
(di Davide Greco su www.nocristianofobia.org)

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