Noi e i nostri figli, a volte
troppo viziati
Tasche e zainetti pieni degli
ultimi ritrovati tecnologici, soprattutto il telefonino all’ultimo grido. Sono
i nostri figli, la nuova generazione, quella senza speranze e senza prospettive
pensionistiche. Li vezzeggiamo, incapaci come siamo di dire di no: “no, questa
spesa non la posso affrontare, devi farne a meno”. E poi, spesso, o qualche
volta, fate voi, li viziamo. Per esempio, il docente ha rimproverato nostro figlio?
Come si è permesso? Eppure, non è stato sempre così. Qualche tempo fa, quando
ero ragazzo (anch’io lo sono stato) bastava lo sguardo di biasimo di una
persona anziana per farci arrossire e farci intendere il disvalore di un
comportamento. Andò molto oltre, nei riguardi del proprio focoso rampollo, il
maresciallo Radetzky, in una Milano che non era ancora una città da bere.
Capitò che il delfino, tenente in un reggimento di Ussari di stanza nel
capoluogo lombardo, fece ingresso in un caffè, dove un abate era immerso nella
lettura de La Gazzetta d’Augusta. L’arroganza, la superbia, diciamo pure la
maleducazione, suggerirono al giovane ufficiale di chiedere con tono imperativo
la consegna del foglio. “Ora leggo io” rispose l’ineffabile sacerdote. Dopo aver
fatto presente di essere il figlio del maresciallo Radetzky, e preteso
soddisfazione in un duello all’ultimo sangue, il giovinastro ruzzolò a terra,
causa un manrovescio sferratogli dal suo interlocutore. La notizia fece il giro di Milano in un
battibaleno. Come avrebbe reagito il più famoso Radetzky, l’imperial
Maresciallo? Presto detto. Chiamò il figlio, lo strigliò, gli comminò, come
punizione, gli arresti e lo congedò con una solenne pedata nel sedere. I
Milanesi apprezzarono l’austriaca giustizia, sommaria, se vogliamo, ma
immediata ed autorevole. Da quel giorno, i popolani, soprattutto, indicarono
col termine “radetzky” il calcio indirizzato nella parte meno nobile della
schiena. Erano altri tempi.
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