domenica 3 febbraio 2013


Bioetica: le follie della neutralità

le follie della neutralità
(di Gianfranco Amato) Un ottimo esempio di come la political correctnesspossa raggiungere il parossismo lo fornisce, questa volta, la Svezia, nazione che nel 2010 è stata riconosciuta dal Forum Economico Mondiale come il Paese in cui viene meglio garantita l’uguaglianza di genere tra tutti gli stati della Terra.
Non accontentandosi di quel primato, oggi gli svedesi aspirano ad un altro record, passando dal concetto di uguaglianza a quello di neutralità di genere. Non devono più essere tollerate distinzioni tra i sessi. In virtù di tale principio, dopo aver manipolato la natura, attraverso le operazioni chirurgiche cui si sottopongono i transgender, ora gli svedesi intendono manipolare anche la grammatica. Sì, proprio così. L’ultima novità, infatti, è che nella lingua svedese saranno ufficialmente abrogati i pronomi personali maschili e femminili, per cui, “han” (lui) e “hon” (lei) lasceranno il posto ad un indefinito “hen”. Lo ha comunicato l’autorevole e seriosa Nationalencyklopedin.
Questo bizzarro processo di neutralità sessuale, in realtà, è già in atto da tempo nel Paese scandinavo. Si sta procedendo, ad esempio, all’omologazione dei nomi propri (sono già 170 i nomi unisex legalmente riconosciuti in Svezia); i negozi di abiti per bimbi e adolescenti hanno già da tempo eliminato i reparti per ragazzi e ragazze, introducendo un’uniformizzazione nel vestiario. Stesso discorso per i giocattoli: in uno dei più recenti cataloghi del settore, ad esempio, è stato mostrato un bambino che spinge una carrozzina rosa, ed una bambina che guida un trattore giallo.
Nello sport ha iniziato la federazione svedese di bowling ad eliminare la distinzione di squadre e gare maschili e femminili, per rendere l’attività agonistica più “gender-neutral”. Pare stia andando anche in porto la proposta, avanzata dai politici socialdemocratici, di eliminare le toilette separate, «per non obbligare le persone a distinguersi tra uomini e donne».
Tornando alla lingua, esiste già in Svezia un libro per bambini intitolato Kivi och Monsterhund, totalmente ispirato alla grammatica neutrale, in cui l’autore Jesper Lundqvist, tra le numerose novità ha introdotto anche quella di sostituire le parole con cui i bimbi svedesi da sempre hanno chiamato i genitori (mammor e pappor), con i termini «mappor» e «pammor». Tradotta in italiano l’operazione suonerebbe “mapà” e “pamma”. E’ triste, in realtà, assistere al modo cinico e violentemente ideologico con cui gli adulti, per proprie fisime ossessive, tentano di interferire nello sviluppo naturale dei bambini.
Chi pensasse che questa surreale vicenda della neutralità di genere rappresenti un’estroversa bizzarria svedese, si sbaglia. La tendenza, in realtà, è già presente in altri Paesi occidentali, e si sta diffondendo con preoccupante rapidità. Agli inizi di quest’anno, ad esempio, Mr. Tam Baillie, che ricopre la carica di Scottish Parliament’s Commissioner for Children and Young People, ovvero del soggetto istituzionale incaricato di vigilare sui diritti ed il benessere dei giovani in Scozia, si è formalmente espresso nel senso che ai ragazzi dovrebbe essere consentita la possibilità di indossare la divisa femminile, per evitare atteggiamenti «ingiustamente discriminatori nei confronti degli alunni dall’orientamento sessuale variabile».
Lo scorso autunno il governo australiano ha annunciato la possibilità di indicare con una X il proprio sesso, per tutti i cittadini che non desiderano essere inquadrati nelle categorie di uomini e donne. Dallo scorso dicembre nel Regno Unito i passaporti dei cittadini britannici non indicano più la paternità e la maternità secondo gli schemi classici (madre e padre) ma attraverso la dizione di «Genitore 1» e «Genitore 2», al fine di evitare forme di discriminazione nei confronti delle coppie omosessuali con figli.
In Germania persino il celebre Ampelmännchen, l’omino del semaforo per i pedoni utilizzato nei territori della ex DDR, è stato sostituito da una sagoma neutra, perché rappresentava una figura maschile con indosso un cappello da uomo.
Tutto ciò apparirebbe comicamente risibile, se in gioco non ci fosse il rischio di una pericolosa deriva dal punto di vista antropologico. Qualche tempo fa a simili notizie pochi avrebbero davvero creduto. Oggi, nel migliore dei casi, anche in Italia ci si limita ad un sorriso. Domani, probabilmente, non riderà più nessuno. (Gianfranco Amato)
da Corrispondenza Romana

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