lunedì 11 febbraio 2013

PILLOLE DI STORIA



QUANDO A VASTO CESSARONO I PRIVILEGI FEUDALI

Nel Regno di Napoli, nei primi dell’Ottocento, i re francesi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, vararono una serie di riforme di fondamentale importanza che volevano raggiungere tre obiettivi:
  1. Abolizione dei privilegi feudali e dei feudi;
  2. abolizione dei grandi possedimenti ecclesiastici;
  3. riduzione dei demani comunali.
L’intento era quello di distribuire migliaia di ettari di terreno a proprietari privati  e favorire la nascita di una grande borghesia terriera.
Per l’Abruzzo fu incaricato di dividere e ripartire i terreni feudali, ecclesiastici e demaniali Giuseppe de Thomasis di Montenerodomo, uomo di notevole statura culturale e politica.
Nella Regione, in seguito alla ripartizione di quei grandi latifondi, furono creati 30.000 nuovi proprietari. Però non furono molte le famiglie della media borghesia che si avvantaggiarono di quelle norme. Infatti il grosso delle terre alienate fu accaparrato dal notabilato più facoltoso che, attraverso il gioco dei prestanome, aumentò la propria ricchezza e la piccola borghesia dovette accontentarsi dei terreni meno produttivi e marginali.
I terreni che erano stati divisi e venduti tra i vari proprietari furono prontamente disboscati ed inseriti nel circuito produttivo, così il  tradizionale demanio comunale fu fortemente ridimensionato al punto che rimasero di uso collettivo solo le aree meno produttive ed impervie. Quel processo di deforestazione si andò a sommare ai disboscamenti già effettuati in seguito alla carestia del 1764 per ampliare l’area produttiva.
Se nel territorio di Casalbordino, per esempio, furono 1700 gli ettari di terreni forestali che furono messi a coltura, a Vasto l’area boschiva nel 1810 risultò addirittura dimezzata. Scomparvero infatti i grandi boschi che si estendevano dalla contrada Defenza a S. Antonio Abate al centro dei quali si estendeva il “Tratturo Magno” percorso da grandi mandrie e centinaia di “callitani” (da “calles”, viae publicae), come alcuni ancora chiamavano i pastori.
Ad ogni buon conto il consolidamento della proprietà privata ebbe ripercussioni positive sull’agricoltura, visti i maggiori investimenti dei nuovi proprietari per migliorare ed aumentare la produzione agricola. Essi costruirono anche grandi masserie per consentire ai coloni di risiedere nei loro fondi. Nacquero così i nuclei abitativi delle frazioni dove  spesso il notabilato  si recava per attività ludiche e soprattutto venatorie, perciò vi costruirono ville di campagna che chiamarono “casini” o “casine”. Del resto già in passato la nobiltà aveva fatto altrettanto come è testimoniato a Vasto dalle ville periferiche dei d’Avalos.

NICOLANGELO D’ADAMO

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