Più che Robespierre, il puro, sembra
Danton, l’intrallazzatore. Entrambi rivoluzionari, ci mancherebbe (fa tanto chic),
ma con caratteri ed atteggiamenti diversi. Il primo, esponente di punta del
Terrore, bevitore di sangue, il sangue del Re e consorte, ma questo sarebbe il
meno, sterminatore del suo popolo (non solo dei Vandeani), era un visionario,
non aveva tempo, a onor del vero neanche l’attitudine, per pensare al vile
danaro e ai facili arricchimenti. L’altro, il Danton, molto più pragmatico,
anche troppo. Era un affarista. Il Danton locale, dunque, aspirante
Robespierre, si caratterizza per la sua capacità di rendere aureo tutto quello che
tocca, soprattutto se si tratta di libri. Li vende, ne impone l’uso, e c’è
sempre chi paga, pubblica amministrazione o famiglie. Il sistema è talmente ben
oliato che il nostro rivoluzionario non fa fatica. Si riempie la bocca delle
solite parole d’ordine, quali libertà, democrazia. Soprattutto e con maggiore
passione parla del popolo, quello stesso popolo al quale lo mette costantemente
in quel posto. Perché, in fin dei conti, è il popolo che sovvenziona i suoi
guadagni. Siamo alle solite: i rivoluzionari di tutti i tempi parlano bene e
razzolano male. L’importante è avere la faccia fungibile col sedere. Il popolo
direbbe, senza tanti giri di parole, che si tratta di facce di culo.
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