La comunità saprà ritrovarsi
nelle sue tradizioni e nel suo tessuto sociale, ancora sano
I muretti sono tutti a secco,
secondo una tradizione millenaria che si tramanda di padre in figlio. Fanno
argine tra podere e podere, tra strada e podere, limiti non invalicabili,
all’apparenza inutili, perché del tutto inidonei ad impedire l’accesso a
eventuali malintenzionati: in fin dei conti, sono dei monumenti rurali,
affidati alle generazioni che si susseguono, parte integrante e coessenziale
del paesaggio. Gli olivi secolari e le viti, avvolti dall’odore del mare,
completano lo scenario. Ti accorgi subito della presenza dell’uomo quando noti
i campi tenuti in ordine, arati, le erbacce periodicamente ammucchiate e poi
date alle fiamme. Qui ha vissuto ed è morta Sarah, tra questi casolari, queste
masserie, quel viavai di trattori che portano le olive e l’uva alla
cooperativa, quelle schiene che si spezzano per liberare il terreno dai massi.
Così sotto il sole, sotto la pioggia, al caldo, al freddo. Ora Avetrana, comune
del Tarantino con meno di diecimila anime, piange quella povera anima innocente
e si interroga, prega, impreca, ma si ritroverà nel suo tessuto sociale, ancora sano, in quella
religiosità delle confraternite, nella sua umanità. Sarà per tradizione
magno-greca o per altro, la intera popolazione del Tarantino ha come tratto
assai diffuso la capacità, direi innata, di dare ascolto al bisogno di aiuto,
di avvicinarsi, quando il forestiero chiede, con l’animo di fare bella figura
con l’ospite. Avetrana è anche questo.
Giacinto Zappacosta
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