“Abbiamo fatto il pranzo di Icco”. La frase, le
cui scaturigini si perdono nel tempo, sta a significare un pasto frugale,
semplice, nonché, a volte, con una punta di simpatica e bonaria critica, un
pranzo non all’altezza di stomaci particolarmente capienti. Il detto tarantino,
almeno della Taranto di qualche tempo fa, chiama in causa un campione olimpico
che, dopo aver vinto, tornò a casa tutto contento del premio ricevuto, vale a
dire un po’ di sedano messogli in testa a mo’ di corona. Provo a fare qualche
conto: due o tre giorni di mare per tornare a Taranto, e il sedano (“u lacce”
nella Città dei due mari”, “lu lacce” a Vasto) non era più buono nemmeno per il
brodino. La πóλις, la sua città, lo accolse con ogni onore e gli affidò la
direzione del Ginnasio. E poi l’immancabile statua nel tempio di Era a Olimpia
e il privilegio di essere citato da Platone.
Ma perché “il pranzo di Icco”? Il valente atleta,
oltre ad essere tale, era un medico, primo grande dietologo, teorico della
continenza alimentare, che applicava rigorosamente a se stesso. Di qui il nesso
tra il nome di Icco e la sobrietà a tavola. Non pago, l’atleta-medico tarantino
si asteneva dai rapporti sessuali prima delle gare. Si affermò nel pentathlon
alla 77.a Olimpiade, quando correva l’anno 472 a. C.
A tutti piace pensare che la “tomba dell’atleta”
conservata nel Museo Archeologico di Taranto sia proprio di Icco.
Giacinto
Zappacosta
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