Avevo
scritto questo articolo quando si era sparsa la notizia dell’inibizione
giudiziaria, proveniente dall’Europa, al battesimo impartito ai bambini. La
notizia è risultata poi essere falsa, benché ripresa da autorevoli giornali a
tiratura nazionale. Meglio così. Pensavo di cestinare il “pezzo”, ma poi ho
riflettuto. E se un giorno capitasse davvero? Anzi, come mai l’Europa, in preda
al cupio dissolvi e alla cristo-fobia più nera, non ancora ci ha pensato? Lo propongo
ai lettori, che ringrazio, come sempre, per la cortesia con la quale mi
seguono.
Abbiamo sei mesi di
tempo. Sei mesi per intervenire da un punto di vista legislativo a sanare
una situazione che l’Europa ci indica quale grave violazione della libertà di pensiero e di coscienza, soprattutto della libertà religiosa. Il delirio
europeo, che non conosce argine, si accanisce questa volta, con un argomentare
tanto rozzo quanto semplicistico, sul sacramento del battesimo. Eccolo, ridotto
all’osso: posto che il neonato non ha contezza di una scelta che viene imposta
dai genitori, lo Stato italiano deve salvaguardare il superiore interesse del
bambino, leso da una intollerabile violenza.
Partiamo, in ordine
cronologico, dall’antefatto. Una donna, cittadina italiana, si oppone al battesimo del figlio,
viceversa celebrato per volontà del marito. La battagliera signora, che nel
frattempo pensa bene di andarsene di casa, si rivolge allora al giudice
(italiano: siamo ancora nell’ambito dei confini nazionali) che però la condanna
per abbandono del tetto coniugale e per minacce. Di qui il ricorso alla corte europea dei diritti umani, e il ricco corollario di conseguenze
devastanti.
La corte dunque, indicando all’Italia il termine perentorio di sei mesi per
risolvere quello che appare irrisolvibile, individua nel sacramento del
battesimo, alla luce della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché della convenzione internazionale
sui diritti dell’infanzia, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 176 del
1991, una coercizione a danno del
bambino, una macchia indelebile. “L’Italia, permettendo il battesimo ai
neonati, viola l’articolo 9 della convenzione europea in combinato disposto con
l’articolo 14, in quanto i neonati non sono ancora in grado di intendere e di
volere o emettere un atto personale e cosciente e, nella fattispecie, sono
obbligati a far parte di una associazione religiosa per tutta la vita”. La
Chiesa cattolica, nel gergo dei giudici, è quindi una semplice associazione
religiosa. Ma non è tutto. “L’imposizione del rito chiamato sacramento tradisce il carattere di una dottrina che
considera le persone come oggetti,
il cui destino è deciso a loro insaputa da un’organizzazione religiosa. Infatti
il battesimo impone al battezzato un sigillo indelebile, facendolo diventare a
tutti gli effetti un iscritto e membro a sua insaputa e volontà e
assoggettandolo ai suoi regolamenti e alla sua autorità”.
L’affondo è deciso,
violento. E va oltre. A parte la malevola terminologia usata, che torna sul
tema della “organizzazione religiosa”, inabissandosi, con calcolata
spregiudicatezza, nell’empito “rito chiamato
sacramento”, il climax raggiunge finalmente il suo punto apicale, netto, chiaro,
coerente con l’impostazione di fondo. La
censura, dunque, prende corpo fino ad indicare la Chiesa cattolica quale
portatrice di una dottrina, leggasi: Cristo, che considera le persone come
oggetti. La riprovazione non ha ad oggetto un dato accessorio, secondario,
ma investe la centralità del messaggio evangelico, come nelle parole dei
giudici, “il carattere della dottrina”, vale a dire il nocciolo, il κήρυγμα.
Mai prima d’ora un giudice si era spinto a tanto, fino a demolire, o a cercare
maldestramente di annientare, l’essenza stessa della religione, imponendo,
trattandosi appunto di un giudice, ad uno Stato sovrano, di dare attuazione ad
una sentenza di tale portata.
Allora,
entro sei mesi, niente più battesimi, in Italia, ai neonati.
Stesso regime, si immagina, a breve, negli altri Paesi comunitari, stesso
regime per gli altri riti cristiani (penso agli ortodossi) che si riconoscono
nei medesimi sacramenti.
Pensiamo alle ulteriori
conseguenze, a cominciare dalla prima comunione. I nostri figli cominciano a
frequentare “il catechismo” in età nella quale non possono “emettere un atto
personale e cosciente”. In buona sostanza, sono pur sempre i genitori a decide
il percorso che porterà il bambino alla confessione e alla comunione. Cassiamo
anche questi due sacramenti? Li posponiamo nel momento in cui il fedele, ad
esempio, avrà raggiunto la maggiore età? Non parliamo dell’unzione degli
infermi, quando viene impartita al moribondo non più capace di intendere e di
volere (Catechismo della Chiesa Cattolica n.ri 315 3 segg.). Speriamo che non
si arrivi a proibire al Papa di benedire l’olio, segno sacramentale del
battesimo.
Ognuno valuti l’impatto
sulla quotidianità, sulle scelte
familiari, su ciò che è una tradizione consolidata e, finora, mai messa in
discussione (per esempio, un bambino di sette, otto o dieci anni potrà ancora fare
il chierichetto e servire Messa?). Conviene piuttosto soffermarsi su un altro
punto, vale a dire il fastidio col quale la corte europea avverte l’ingresso
nella comunità ecclesiale, come una scelta che opera per sempre. Ora, è vero
che, nell’ottica cattolica, “il battezzato appartiene per sempre a Cristo”
(Catechismo delle Chiesa Cattolica, n. 263), ma è comunque pacifico che
l’individuo, nella sua libertà e nella sua insindacabile auto-determinazione,
possa in ogni momento, senza dover rendere conto a chicchessia, porsi al di
fuori della comunione ecclesiale.
A ben guardare, la
questione è più ampia, e chiama in causa quel processo di scristianizzazione
che investe in modo particolare, accanito, il vecchio continente, quell’Europa
nella quale non ci riconosciamo più.
Giacinto Zappacosta
Nessun commento:
Posta un commento