venerdì 2 maggio 2014

BATTESIMI VIETATI. (FRA SEI MESI IL FONTE BATTESIMALE SIGILLATO DAI CARABINIERI?)

Avevo scritto questo articolo quando si era sparsa la notizia dell’inibizione giudiziaria, proveniente dall’Europa, al battesimo impartito ai bambini. La notizia è risultata poi essere falsa, benché ripresa da autorevoli giornali a tiratura nazionale. Meglio così. Pensavo di cestinare il “pezzo”, ma poi ho riflettuto. E se un giorno capitasse davvero? Anzi, come mai l’Europa, in preda al cupio dissolvi e alla cristo-fobia più nera, non ancora ci ha pensato? Lo propongo ai lettori, che ringrazio, come sempre, per la cortesia con la quale mi seguono.



Abbiamo sei mesi di tempo.  Sei mesi per intervenire da un punto di vista legislativo a sanare una situazione che l’Europa ci indica quale grave violazione della libertà di pensiero e di coscienza, soprattutto della libertà religiosa. Il delirio europeo, che non conosce argine, si accanisce questa volta, con un argomentare tanto rozzo quanto semplicistico, sul sacramento del battesimo. Eccolo, ridotto all’osso: posto che il neonato non ha contezza di una scelta che viene imposta dai genitori, lo Stato italiano deve salvaguardare il superiore interesse del bambino, leso da una intollerabile violenza.
Partiamo, in ordine cronologico, dall’antefatto. Una donna, cittadina italiana, si oppone al battesimo del figlio, viceversa celebrato per volontà del marito. La battagliera signora, che nel frattempo pensa bene di andarsene di casa, si rivolge allora al giudice (italiano: siamo ancora nell’ambito dei confini nazionali) che però la condanna per abbandono del tetto coniugale e per minacce. Di qui il ricorso alla corte europea dei diritti umani, e il ricco corollario di conseguenze devastanti.
 La corte dunque, indicando all’Italia il termine perentorio di sei mesi per risolvere quello che appare irrisolvibile, individua nel sacramento del battesimo, alla luce della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché della convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 176 del 1991,  una coercizione a danno del bambino, una macchia indelebile. “L’Italia, permettendo il battesimo ai neonati, viola l’articolo 9 della convenzione europea in combinato disposto con l’articolo 14, in quanto i neonati non sono ancora in grado di intendere e di volere o emettere un atto personale e cosciente e, nella fattispecie, sono obbligati a far parte di una associazione religiosa per tutta la vita”. La Chiesa cattolica, nel gergo dei giudici, è quindi una semplice associazione religiosa. Ma non è tutto. “L’imposizione del rito chiamato sacramento tradisce il carattere di una dottrina che considera le persone come oggetti, il cui destino è deciso a loro insaputa da un’organizzazione religiosa. Infatti il battesimo impone al battezzato un sigillo indelebile, facendolo diventare a tutti gli effetti un iscritto e membro a sua insaputa e volontà e assoggettandolo ai suoi regolamenti e alla sua autorità”.
L’affondo è deciso, violento. E va oltre. A parte la malevola terminologia usata, che torna sul tema della “organizzazione religiosa”, inabissandosi, con calcolata spregiudicatezza, nell’empito “rito chiamato sacramento”, il climax raggiunge finalmente il suo punto apicale, netto, chiaro, coerente con l’impostazione di fondo. La censura, dunque, prende corpo fino ad indicare la Chiesa cattolica quale portatrice di una dottrina, leggasi: Cristo, che considera le persone come oggetti. La riprovazione non ha ad oggetto un dato accessorio, secondario, ma investe la centralità del messaggio evangelico, come nelle parole dei giudici, “il carattere della dottrina”, vale a dire il nocciolo, il κήρυγμα. Mai prima d’ora un giudice si era spinto a tanto, fino a demolire, o a cercare maldestramente di annientare, l’essenza stessa della religione, imponendo, trattandosi appunto di un giudice, ad uno Stato sovrano, di dare attuazione ad una sentenza di tale portata.
Allora, entro sei mesi, niente più battesimi, in Italia, ai neonati. Stesso regime, si immagina, a breve, negli altri Paesi comunitari, stesso regime per gli altri riti cristiani (penso agli ortodossi) che si riconoscono nei medesimi sacramenti.
Pensiamo alle ulteriori conseguenze, a cominciare dalla prima comunione. I nostri figli cominciano a frequentare “il catechismo” in età nella quale non possono “emettere un atto personale e cosciente”. In buona sostanza, sono pur sempre i genitori a decide il percorso che porterà il bambino alla confessione e alla comunione. Cassiamo anche questi due sacramenti? Li posponiamo nel momento in cui il fedele, ad esempio, avrà raggiunto la maggiore età? Non parliamo dell’unzione degli infermi, quando viene impartita al moribondo non più capace di intendere e di volere (Catechismo della Chiesa Cattolica n.ri 315 3 segg.). Speriamo che non si arrivi a proibire al Papa di benedire l’olio, segno sacramentale del battesimo.
Ognuno valuti l’impatto sulla quotidianità, sulle scelte familiari, su ciò che è una tradizione consolidata e, finora, mai messa in discussione (per esempio, un bambino di sette, otto o dieci anni potrà ancora fare il chierichetto e servire Messa?). Conviene piuttosto soffermarsi su un altro punto, vale a dire il fastidio col quale la corte europea avverte l’ingresso nella comunità ecclesiale, come una scelta che opera per sempre. Ora, è vero che, nell’ottica cattolica, “il battezzato appartiene per sempre a Cristo” (Catechismo delle Chiesa Cattolica, n. 263), ma è comunque pacifico che l’individuo, nella sua libertà e nella sua insindacabile auto-determinazione, possa in ogni momento, senza dover rendere conto a chicchessia, porsi al di fuori della comunione ecclesiale.
A ben guardare, la questione è più ampia, e chiama in causa quel processo di scristianizzazione che investe in modo particolare, accanito, il vecchio continente, quell’Europa nella quale non ci riconosciamo più.

     
Giacinto Zappacosta

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