Tanto tempo fa, ma non troppo, quando noi vecchi
Vastesi di oggi portavamo i calzoni corti, e a scuola indossavamo rigorosamente
e orgogliosamente il grembiule, una partitella a pallone sul lungomare (che non
era stato ancora ribattezzato “l’aeroporto”) venne interrotta dall’intervento
di un Maresciallo dei Carabinieri. L’approccio dell’Ufficiale dell’Arma fu
benevolo e deciso al tempo stesso. Abbassò il finestrino della “Gazzella” e ci
fece questo discorso: “Sapete quanto spende il Comune per mantenere questo
lungomare?”. Mio cugino, il più grandicello fra di noi, pallone sotto il
braccio, a mo’ di cocomero appena comprato al mercato di Santa Maria, proferì
quello che avevamo capito immantinente, appena quel finestrino si abbassò: “Ce
ne dobbiamo andare?”. La domanda, retorica, suonava come un assenso
incondizionato, e vorrei dire spontaneo e condiviso, alla cortese richiesta del
Maresciallo. Quel giorno, e anche in quelli successivi, non giocammo più sul
lungomare, neanche quando divenne, nella toponomastica locale, “l’aeroporto”. Così
eravamo e così non siamo più. Quel tessuto sociale, quei sentimenti, quei
valori sono stati consegnati alla storia. Provate a immaginare la scena adesso,
nell’anno di grazia 2014: il Maresciallo sarebbe sbeffeggiato dai ragazzini di
turno, che magari, per ripicca, col favore delle tenebre, prenderebbero a
sassate i lampioni. Ma si può? Che cavolo è successo a questa città? Possibile
che i vandali debbano distruggere fiori appena piantati e pista ciclabile nuova
di zecca? E i genitori che fanno? Hanno abdicato al loro ruolo di educatori? Gli
uni, i figli, e gli altri, gli adulti, impantanati senza rimedio nelle sabbie
mobili della società liquida, il cui esito immediato, palpabile nella cronaca
di Vasto e di altri luoghi, è appunto il luddismo ai danni di aiuole e piste
ciclabili. L’esito finale deve essere ancora scritto.
Giacinto Zappacosta
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