mercoledì 10 dicembre 2014

Il richiamo a principi irrinunciabili



Leggerlo, interiorizzarlo e apprezzarlo è un tutt’uno. Incuriosito dalle sollecitazioni, sempre interessanti, che mi provengono dall’amico preside Nicolangelo D’Adamo, soprattutto, in quest’ultimo periodo, sul concetto di arte e sulla possibilità (ma questo è un mio personalissimo cruccio) per l’uomo contemporaneo, annichilito dalla società liquida, di proporsi come artista, ho affrontato la questione immergendomi nella lettura del nostro corregionale, il grande (anche se savoiardo) Benedetto Croce. Il “Breviario di estetica” è affascinante, ricco di argomentazioni, mai banali, chiaro nell’esposizione. Certo, il suo studio presuppone, soprattutto quando l’autore affronta il problema della collocazione dell’arte nell’ambito dello sviluppo dello spirito, una certa dimestichezza con la filosofia teoretica, in particolar modo hegeliana, ma la lettura dell’opera, articolata in quattro lezioni da tenersi Oltreoceano, è a portata di mano per uno studente liceale che sia animato da buona volontà. Lo sforzo, mi pare ben riuscito, che pervade il “Breviario” è quello di fare piazza pulita di sovrastrutture, incrostazioni prodotte nei secoli da casuisti di ogni risma, a partire dai teorici greci e del Rinascimento, passando per gli estetici dell’Ottocento (la mente corre a Fechner), ridondanze, in ogni caso, che isteriliscono e soffocano l’arte. Arte che è visione, intuizione, figurazione, fantasia, rappresentazione, mai, e veniamo alla definizione in negativo della produzione artistica, un atto utilitario, connesso col piacere, o godimento estetico, né tantomeno un atto morale. A questo punto, il Nostro evita, intelligentemente, di impantanarsi in posizioni estreme, quell’ “arte per arte” che pone più problemi di quanti ne risolva, limitandosi a dire, a pro degli estetici moralisti, “che furono cosa seria e corrisposero a un serio sforzo d’intendere la natura dell’arte e di elevarne il concetto”. Seguono i nomi, e che nomi, di Dante, Tasso, Parini, Alfieri e Manzoni. Col negare che l’arte sia conoscenza concettuale, propria della filosofia, Croce conclude il suo argomentare. Il fatto artistico, depurato di cioè che gli è estraneo, viene restituito a se stesso. 

Giacinto Zappacosta

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