Sotto sotto, cova sempre. Quell’aninus diffamandi, quella naturale inclinazione ad offendere
gli Italiani del Sud, l’unica etnia non protetta dal politicamente corretto,
quella tentazione di colorire il discorso con riferimenti, i soliti, dettati
dal malanimo e da un provincialismo che sta soffocando questa sventurata
Nazione. E parlo della Nazione italiana. Dino Buzzati nacque all’inizio del
secolo scorso nel Bellunese, per la precisione a San Pellegrino. Romanziere
interessante e fuori dagli schemi, ha scritto cose notevoli (Il deserto dei
Tartari era la lettura d’obbligo di noi adolescenti), ma anche cose di scarso
rilievo, o comunque racconti che appaiono come propedeutici ad opere meglio
riuscite, non altro. Ad ogni modo, la Mondadori (l’ultima ristampa è del 2008)
ha ritenuto di raccogliere, sotto il titolo La boutique del mistero, i racconti
minori dello scrittore e giornalista. Eccone uno stralcio: “Si era
evidentemente appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno,
superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte,
di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità,
dive cinematografiche” (pag. 127). Quelle popolazioni incolte, capito? Si parla
del Sud, ovvio. Al di là della punteggiatura un po’ traballante, Buzzati non ha
potuto fare a meno di inoltrarsi nell’arido sentiero dello squallore. Peccato.
Giacinto Zappacosta
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