Si
fa un gran parlare in questi giorni della “Riforma” della Scuola (addirittura
la “Buona Scuola”), con dotte discussioni su innovazioni strutturali e metodologiche, possibili
assunzioni, a migliaia, di tanti docenti precari (proposito lodevole, speriamo
siano tutti bravi), finanziamenti e
prime aperture su politiche meritocratiche, che speriamo non finiscano come i
“concorsi” di berlingueriana memoria. Purtroppo né da parte governativa, né da
parte dei partiti e giornalisti che hanno a lungo discusso il progetto
Renzi/Giannini, si è fatto il pur minimo cenno
all’ abolizione del valore legale
del titolo di studio. Capisco che non ne abbiano parlato i partiti di
sinistra, da sempre contrari, e tanto meno i sindacati, contrarissimi,
mi stupisce che non ne parlino gli osservatori di formazione liberale, da
ultimo Ernesto Galli della Loggia. In fondo tra tanti Ministri della Pubblica
Istruzione, nel secondo dopoguerra, solo il liberale Salvatore Valitutti ebbe
il coraggio di affrontare il problema nel febbraio del 1980, quando indisse a
Roma una memorabile Conferenza Nazionale della Scuola su Finalità, Problemi e Organi della
Partecipazione Scolastica in un Ordinamento Democratico, che vide
all'opera docenti, dirigenti amministrativi, presidi, studenti, forze politiche
e sindacali. Con molta lucidità e lungimiranza quel ministro prospettò, ad un
pubblico attentissimo, la necessità della riforma degli Organi Collegiali per
la gestione di una scuola moderna che recuperasse la prima ragione, lo
specifico, di una “Scuola”, ovvero una solida formazione culturale che venisse
poi valutata
dal mondo del lavoro e non dallo Stato con il rilascio dei diplomi. Purtroppo
quel Governo (Cossiga) di lì a poco cadde ed il successivo si guardò bene dal
riproporre quello spinoso argomento. Eppure negli anni ottanta ci furono molte
novità, anche di rilievo, basti pensare al robusto pacchetto di Progetti Sperimentali Assistiti concordati
con la Confindustria, che allora poteva contare su Giovanni Satta, un
illuminato direttore del Centro Studi. Ma dell’abolizione del valore legale del
titolo di studio nessuno parlò più. Neppure durante i governi Berlusconi, dai
quali era legittimo aspettarsi la riproposizione di quel tema “liberale”, si
fece alcunchè per responsabilizzare,
finalmente, studenti e rispettive famiglie e convincerli a curare soprattutto la crescita culturale, anziché le strategie per conquistare il mitico “pezzo
di carta”. Ma allora, più che i progetti
di riforma, contarono i pareri degli Ordini Professionali.
Purtroppo
perderemo anche questa occasione e continuerà l’odissea della scuola italiana nella ipocrita illusione che i “Diplomi” siano tutti uguali, a
prescindere dalla Regione, dal Comune e
dalla scuola che li ha rilasciati.
NICOLANGELO D’ADAMO
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