È giusto: aboliamo
Manzoni. Poi Dante, poi lo studio della storia. Avanti così
Dubito che Renzi abbia
letto I Promessi Sposi: ha altro da fare, cose più importanti. More solito, per
assicurarsi visibilità, da attore consumato, si affida ad un’iperbole. “La
penso come Umberto Eco: I Promessi Sposi a scuola andrebbero proibiti per
legge. Perché obbligarli li ha resi odiosi e invece così tornerebbe il fascino
per un capolavoro assoluto”. Così il presidente del consiglio alla School of government
della Luiss. I resoconti dei cronisti non ne fanno cenno, ma immagino che ci
siano stati degli applausi, provenienti anche dal corpo docente, il quale
comunque non risulta abbia avuto un moto di ribellione o di timido dissenso.
Neanche a fronte dell’evidente contorcimento logico nel quale si è infilato il
peritus peritorum, il quale, così argomenta, vorrebbe inibire per restituire
fascino al capolavoro manzoniano: il gusto perverso del proibito pervade la
cultura. Ora, non è chiaro come si possa apprezzare un’opera della quale si
vietino lo studio e la lettura. Si dirà: suvvia, maremma, si voleva significare
altro, si voleva indicare la strada per emancipare la scuola da legacci e
lacciuoli, per restituirla alla sua libertà funzionale, con l’unico intento di
rendere piacevole quello che altrimenti viene in uggia, quella lettura, a casa
o in classe, che, per forza di cose, diventa troppo pesante. È il verbo
renziano che, carezzando graziosamente le testoline degli studenti, allevia, o
annulla, la penosità insita in qualsivoglia attività umana, la fatica che pure
bisogna affrontare per studiare Manzoni o un altro autore. Se ne viene
ripagati, però, col centuplo. Leggere e rileggere quel libro, apprezzarne i particolari
che prima ti erano sfuggiti, ammirare quella finezza, di stile e di
introspezione psicologica, quel passo nel quale il Manzoni annota che il
rossore sulle guance di Lucia era di natura diversa da quello che appariva sul
viso della Monaca di Monza, e poi la potenza espressiva, mi verrebbe da dire
pittorica, o, forse meglio, scultorea, che ti conduce, assieme a Renzo, di
ritorno al suo paesello, nella desolazione di quell’orto, saccheggiato da molti
e devastato da rovi ed erbacce: una specie di piacevole malattia, o una sana
abitudine, che ti accompagna per tutta la vita. Le cui scaturigini sono da
ricercarsi in quelle ore spese ad ascoltare la lettura in classe (scuola media)
e relativa spiegazione di brani tratti da I Promessi Sposi, un approccio per il
quale non ringrazierò mai abbastanza l’insegnante. E torniamo al punto. Demandare
ad un’assemblea popolare permanente, della quale non è dato sapere se faranno
parte anche gli studenti, la definizione dei programmi cui attenersi durante
l’anno scolastico sarebbe il compimento di un ben preciso sviluppo, per me una
chiara involuzione, un precipitato storico di quella demagogia che individua
nella cultura un fardello da alleggerire. Se l’accesso del Manzoni nelle aule
scolastiche degrada a mera facoltà, lo stesso vale per Dante, per Foscolo, per Machiavelli
e per Cielo d’Alcamo. Deve viceversa valere, se vogliamo sottrarci al degrado,
il principio della obbligatorietà dello studio di Manzoni e degli altri autori
che questo scritto suso appella. Così come della storia e di quelle discipline
che, tradizionalmente, accompagnano il percorso scolastico degli studenti.
Giacinto Zappacosta
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