Storie (inventate) di miserie umane
VIII capitolo – Dell’innamoramento
Capii subito,
istintivamente, un attimo dopo aver detto la frase, di aver sbagliato, di aver
dato un’impronta, a quel nascente rapporto, nefasta, malaugurante. Un brivido
mi percorse la schiena quando, alla domanda “sei di Vasto, vero?” ebbi l’ardire
di rispondere “natione, non morbus”. Gli è che il clima mi pareva favorevole
alla spendita di qualche parola nell’idioma, senza volermi paragonare, di
Cesare, Cicerone e di Gaio. O forse sono io, more solito, che anelo a
condividere quello che gli altri (o le altre) non posso apprezzare, né capire.
Né tantomeno donarmi. Il punto dolente, dolente per me, punctum pruriens, per
l’appunto, è sintetizzabile, plasticamente, nella allocazione architettonica
dell’approccio col gentil sesso, l’anteporre il salotto, che vorrei fosse
letterario, alla camera da letto. Vale a dire: la testa prima delle gambe. Sono
all’antica, questa è la verità, e lo sono per diuturnitas di vita, per vetustà
di convinzioni e per un fatto etico, il quale ultimo mi impone di cercare prima
lo spirito e solo dopo quello che i Latini indicavano come il luogo geometrico
della felicità (hic est felicitas). Anche se desueto al giorno d’oggi, l’iter
(parola che ho sentito pronunciare “aiter” in un improbabile e improponibile
inglese) mi sembra pieno di fascino e, in fin dei conti, salace in quanto
preparatorio e propedeutico all’atto. Meglio dell’eruca. Prima la cultura,
quindi, e poi il sesso. Almeno così la vedo io. La vicenda che vado narrando, a
parte il tristissimo esito finale, mi ha insegnato molto. Intanto che c’è da
imparare a tutte le età, il che è una grossa invenzione del Padreterno a pro
della nostra vecchiezza, altrimenti piatta e non degna di essere vissuta, in
secondo luogo che chi non ha voglia di imparare odia chi ha qualcosa da dire e
da proporre ad un uditorio, fosse anche sparuto. Ma il lettore non mi giudichi
troppo severamente per gli errori commessi nell’approcciarmi alla signora. A
dire la verità, la dolce dama, che pure mi amò per breve lasso di tempo, mi
palesò più volte di ammirare in me la mia propensione alla studio delle humanae
litterae più che le fattezze fisiche. Sta di fatto che, invece del salotto
letterario, i nostri incontri avevano luogo, non per mia volontà, in un locale
pubblico dove la signora assumeva alcolici. Io, per farle compagnia, ordinavo
un succo di frutta. La discussione, però, era piacevole, elevata anche da un
punto di vista culturale. Così con gli avventori, tutte donne, mentre la
signora arrancava. Poi mi scrisse, scivolando su congiunzioni ed accenti. Il
contraccolpo su di me fu tremendo: sono all’antica, l’ho detto e lo ripeto, ma
esigo che su “né”, appunto congiunzione con valore negativo, vada l’accento e
che, proprio in quanto congiunzione, non sia preceduta dalla congiunzione “e”.
Lo feci notare. Fu la fine.
Giacinto Zappacosta
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