mercoledì 6 maggio 2015

ASSALITO DALLA NOSTALGIA DEL BEL TEMPO CHE FU, RIPROPONGO


La crisi dei partiti mina la buona amministrazione

Crisi dei partiti, soprattutto del Pdl e del Pd, incapaci di presentarsi dinanzi al corpo elettorale, a livello locale come a livello nazionale, con un programma serio, concreto, scritto in un linguaggio comprensibile, e, soprattutto, con una squadra credibile. Rivalità, personalismi, lotte intestine, alla fine, minano le migliori intenzioni. Come uscirne, quali prospettive in vista delle elezioni amministrative che si terranno fra tre mesi? Vale la pena dare uno sguardo al passato, cercando di ricavarne qualche utile indicazione per il presente e per l’immediato futuro.
Innanzi tutto, emerge un dato molto empirico, evidente, vale a dire la compattezza interna ai singoli partiti, quelli, per intenderci, della cosiddetta prima repubblica, con i loro statuti, il collante dell’ideologia, la struttura collaudata, gli specifici interessi da tutelare, il richiamo a parole d’ordine di facile presa sui militanti e sull’elettorato. E poi c’erano i probi viri, quelli che implacabilmente intervenivano a rimuovere fatti, sempre isolati, che, a torto o a ragione, erano intesi quali menomazioni, fosse solo dell’immagine, a danno della sezione locale (si pensi alla vicenda che vide protagonista Sante Petrocelli, Pci). Il partito, quindi, “teneva”, raramente si assisteva a cambi di casacca e l’azione amministrativa era concentrata sul da farsi, non, come siamo abituati oggi, sul recupero dei fuoriusciti che ti fanno venir meno la maggioranza.
Eppure, anche allora non mancavano rivolgimenti. Per noi bambini (siamo nei primi anni Sessanta), la Domus Pacis coincideva col nostro asilo, dove, muniti di cestino, tipo Cappuccetto Rosso (non esistevano gli zainetti), andavamo a giocare con le maestre. Non potevamo ovviamente percepire come don Felice Piccirilli, parroco di San Giuseppe, avesse avviato, con quella struttura, un qualcosa destinato a rimanere nel tempo. In quell’ambiente, così ricco di fermenti, si sviluppa un laboratorio politico che porterà alla formazione della lista “Il Faro”. Questo particolare momento della nostra storia è analizzato molto bene da Costantino Felice nella sua ultima fatica “Vasto – Storia di una città” (Donzelli editore), un’opera a beneficio di chi voglia individuare la trama dei fatti.
Nasce quindi “Il Faro”, per la verità non semplice lista civica, ma anche movimento civico, con a capo “don” Silvio Ciccarone: la Dc, da cui provenivano i nuovi protagonisti della vita politica cittadina (anche se, va aggiunto, Ciccarone non era iscritto al partito), pagava la sua incapacità di interpretare le istanze di un tessuto sociale che passava dal mondo agricolo a quello industriale. Di più, c’era una forte istanza di carattere morale, sulla quale bisognerebbe riflettere, che imputava al partito cattolico un deficit etico proprio in riferimento alla dottrina cristiana. D’altra parte, il parroco di San Giuseppe “era scontento di come andavano le cose” riferisce Felice (op. cit.) riportando le parole di don Silvio.
A fronte di questo precedente storico, che andrebbe approfondito, esistono, oggi, le condizioni per riproporre, a Vasto, una esperienza similare, una lista civica che sappia guardare ai partiti e oltre i partiti? I dati oggettivi, dai quali partire, sono sotto gli occhi di tutti: per limitarci al fatto locale, Pdl e Pd, percorsi da ambizioni personali allo stato puro, hanno perso di vista il contatto con le rispettive basi, che pure chiedono di contare e di essere ascoltate. Prevalgono, in entrambi i casi, grossi personaggi, ma privi di quel carisma, di quella simpatia popolare che circondavano Silvio Ciccarone. Un partito, il Pdl per esempio, che deve attendere le indicazioni provenienti da Chieti, che a loro volta si scontrano con i capricci dei soliti individui, il tutto in vista di una trattativa che umilia iscritti e simpatizzanti, di fatto estraniati: è ancora proponibile tutto questo? Un movimento che nasce dal territorio, e che opera per il territorio, elimina, per sua stessa natura, quel surplus di conflittualità, di cui nessuno avverte il bisogno, con le strutture sovra-ordinate, che poi finiscono per deprimere le aspettative di una popolazione.

Giacinto Zappacosta

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