giovedì 7 maggio 2015

STORIE DI SACRO ROMANO IMPERO



OGNI TANTO NON GUASTEREBBE UN BEL “RADETZKY”

Noi e i nostri figli, a volte troppo viziati



Tasche e zainetti pieni degli ultimi ritrovati tecnologici, soprattutto il telefonino all’ultimo grido. Sono i nostri figli, la nuova generazione, quella senza speranze e senza prospettive pensionistiche. Li vezzeggiamo, incapaci come siamo di dire di no: “no, questa spesa non la posso affrontare, devi farne a meno”. E poi, spesso, o qualche volta, fate voi, li viziamo. Per esempio, il docente ha rimproverato nostro figlio? Come si è permesso? Eppure, non è stato sempre così. Qualche tempo fa, quando ero ragazzo (anch’io lo sono stato) bastava lo sguardo di biasimo di una persona anziana per farci arrossire e farci intendere il disvalore di un comportamento. Andò molto oltre, nei riguardi del proprio focoso rampollo, il maresciallo Radetzky, in una Milano che non era ancora una città da bere. Capitò che il delfino, tenente in un reggimento di Ussari di stanza nel capoluogo lombardo, fece ingresso in un caffè, dove un abate era immerso nella lettura de La Gazzetta d’Augusta. L’arroganza, la superbia, diciamo pure la maleducazione, suggerirono al giovane ufficiale di chiedere con tono imperativo la consegna del foglio. “Ora leggo io” rispose l’ineffabile sacerdote. Dopo aver fatto presente di essere il figlio del maresciallo Radetzky, e preteso soddisfazione in un duello all’ultimo sangue, il giovinastro ruzzolò a terra, causa un manrovescio sferratogli dal suo interlocutore. La notizia fece il giro di Milano in un battibaleno. Come avrebbe reagito il più famoso Radetzky, l’imperial Maresciallo? Presto detto. Chiamò il figlio, lo strigliò, gli comminò, come punizione, gli arresti e lo congedò con una solenne pedata nel sedere. I Milanesi apprezzarono l’austriaca giustizia, sommaria, se vogliamo, ma immediata ed autorevole. Da quel giorno, i popolani, soprattutto, indicarono col termine “radetzky” il calcio indirizzato nella parte meno nobile della schiena. Erano altri tempi.

Giacinto Zappacosta

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