mercoledì 28 ottobre 2015

GIOCHI DI PAROLE E SCHERZI DEL DESTINO

Una frase in greco, buttata lì, senza pensarci, con esiti disastrosi

Pensare in greco, parlare in italiano ed agire in latino. È un ideale che inseguo fin da giovane, con tanta fatica e tanta passione. Nella mia personalissima cosmologia, la Grecia attiene alla profondità del pensiero, quella capacità, unica, di penetrare la natura delle cose, mentre è propria della romanità, depurata delle americanate cinematografiche, quella attitudine, elevata al massimo grado, di volgere l’animo in medias res, di guardare al concreto, attingendo da quel canone del ‘parcere subiectis et debellare superbos’. Nel bel mezzo ci siamo noi, noi che parliamo questa stupenda lingua, noi Italiani, o meglio quei pochi che assistono con dolore alla demolizione sistematica dell’idioma. Tutto il resto, per me, al di fuori di questa triade, è periferico. Ora, può capitare, per influenza osmotica, che un’espressione greca, nel dialogo tra amici, erompa in luogo dell’italiano. Il guaio è che a me è capitato nell’approccio con una signora. L’espressione in greco, in greco antico, che ora vado a rendere in caratteri latini, suona così: ‘stocàzomai scopù’. Lo dissi volendo significare, in stretta aderenza alla traduzione, ‘sono concentrato sullo scopo’, niente di particolare. Non ricordo cosa stessi facendo: forse stavo leggendo, forse inseguivo i miei pensieri, insomma qualcosa stavo pur facendo. Volevo scusarmi per la mia apparente scarsa attenzione. ‘Stocàzomai scopù’. Mai espressione risultò più infelice. La signora si girò sui tacchi e andò via, per sempre. Non è che avesse tutti i torti, atteso che l’assonanza, specie se accostata alla parlata sarda, sembra rimandare ad un’allusione salace fin troppo evidente. Non me lo perdonerò mai.

Giacinto Zappacosta 

pubblicato su piazzarossetti.it 

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