martedì 17 novembre 2015

RITRATTO DI DONNA

Ecco, stava prendendo corpo un gabinetto culturale

Era una bella donna. Penso lo sia ancora. A pensarci, e me ne rendo conto solo ora, mi comportai con lei alla stessa stregua di Siddharta, almeno così come narrato da Hesse: mirai dritto al seno, bello, invitante, non ostentato, ma ammirabile. La signora ne fu estasiata e non lo nascose. La differenza, non proprio trascurabile, tra me e il Buddha, attiene però all’età, nel caso mio abbastanza tarda, quando, già maturo da un pezzo, ebbi la ventura di imbattermi in colei che sola mi pareva donna. Mi scoprii capace di amare ancora, di condividere sentimenti, passioni e interessi. In principio fu così, e la passione ci travolse nei fugaci incontri, nelle lunghe chiacchierate, nei discorsi impegnati, nelle invettive contro la meschinità del mondo, nella bellezza di quel manto di neve che guardammo a lungo in una fredda notte. Eppure, qualcosa subito stonò nell'animo mio, che pure traboccava di un intenso moto d’amore, ricambiato, debbo dire. Sperimentai, senza volermi paragonare, ci mancherebbe, quello che occorse al Sommo Poeta, allorquando, ebbro di sentimenti, diede il meglio di sé in termini culturali. Nel mio piccolo, anch’io poetai, vergando frasi che leggevo alla gentile dama, che sembrava apprezzare. Ecco, stava prendendo corpo un gabinetto culturale, si stava concretizzando un vivace scambio di idee, in pieno godimento estetico. L’ho sempre detto: una donna va amata nella sua interezza, cominciando dalla testa, al cui interno è il vero discrimine, il quid che fa scattare l’innamoramento. Almeno così pensavo, così speravo, così mi illudevo. Qualcuno parlò del ‘mondo come volontà e rappresentazione’, elegante ed efficace perifrasi ad indicare, molto più prosaicamente, la triste situazione di chi se la suona e se la canta, di chi si costruisce un’idea che esiste solo nella sua capoccia. Me ne resi conto sulla base degli scivoloni linguistici della mia dolce amica, in quello stillicidio di errori che, se non altro, ebbero il merito di riportarmi alla realtà. A quel punto, che fare? Far finta di niente? Limitare gli incontri all’eros, escludendo il godimento estetico? Ormai, l’atmosfera, prima esaltante, bella, entusiasmante, era rovinata per sempre. Rimangono quelle poesie vergate currenti calamo. Si vede che l’infatuazione produce versi, mentre, è ormai evidente, la prosa alligna nella tranquillità di un animo sereno.


Giacinto Zappacosta   

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