Il titolo, Critica
dell’estetica hegeliana, col rimando ad uno dei più grandi filosofi che
l’umanità abbia avuto, sottende un argomento impegnativo. Il nome dell’autore,
Francesco De Sanctis, personalità di sicura dottrina e di provato ingegno, già
di per sé invita alla lettura e allo studio. Fin qui, dunque, tutto lineare,
tutto tranquillo e sereno. Ma l’agguato, come d’altra parte nella vita, è dove
meno te l’aspetti, in un passo tutt’altro che secondario, niente affatto
periferico. Si parla, con un argomentare limpido, cristallino, del concetto di
arte, del rapporto tra forma e contenuto, dell’ingerenza del pensiero nelle
varie forme artistiche. Bella, ad esempio, e anche ricca di fascino, quella
digressione: ‘Il filosofo, se vede un pomo cadere, corre immediatamente con
l’animo alla legge che governa quel fatto, ed il pomo si trasforma in un
principio generale. Il poeta – prosegue De Sanctis – è agli antipodi; se apre
un libro di filosofia, ecco raggi di sole e vaghe fanciulle che gli guastano il
sillogismo, e la maggiore si trasforma in un pomo che cade’. Una immagine, che
vorrei definire poetica, ti spiega quindi quel confine, forse labile, però
necessario, tra filosofia e poesia, o arte in generale. Ma eccoti l’affondo
inatteso: ‘ … come la donna, che ama volentieri parlare degli uomini eruditi,
ma si annoia della loro presenza’. Qualcosa stride, fa impressione, impatta
violentemente sull’animo, eppure fa riflettere. Il De Sanctis, il liberale, il
progressista, il ministro della Pubblica Istruzione della nuova Italia, nata
dal glorioso risorgimento, scivola su argomento di tal natura, incespica su una
pietra miliare, vero discrimine tra l’arretratezza, che si vuole pre-unitaria, specie
meridionale, e la modernità sabaudo-piemontese. La frase, se fosse uscita dalla
penna di un Giacinto De Sivo, sarebbe stata ascritta, quale monito, soprattutto
nei testi scolastici, a dimostrazione, l’ennesima, della nefandezza borbonica. Vale
la pena, forse, leggere l’intero passo. ‘Nel volgo è rimasta l’opinione che
l’eccellenza della Divina Commedia sia nella profondità della filosofia e della
teologia; la quale opinione rende quel libro poco popolare: perché il volgo fa
un po’ come la donna, che ama volentieri parlare degli uomini eruditi, ma si
annoia della loro presenza; il volgo – conclude il critico campano – ammira i
libri dotti, ma non li legge’. Il volgo da un lato, la donna dall’altro: due
termini, due aspetti similari dell’antropologia liberal-progresssista, due
categorie strutturalmente inferiori. Eccoti l’Italia, quella del ‘grido di
dolore’, che nasce con questi presupposti e si nutre di falsi miti. Certo, va
detto che comunque il De Sanctis, quale
ministro della Pubblica Istruzione, vale più della Gelmini e della Giannini
messe assieme. E va aggiunto, ma questo riguarda solo me, che mi è capitato di
leggere la noia negli occhi di qualche signora. Dopo tutto, come si dice, c’è
un fondo di verità in tutte le cose.
Giacinto Zappacosta
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