venerdì 11 dicembre 2015

QUANDO COSTITUZIONE FA RIMA CON PROSTITUZIONE

Lotte intestine, furbi e furbate da infimo impero

Parlano (sparlano?) tutti senza cognizione di causa. Giornalisti, osservatori, politologi, cattedratici e politici non sanno quello che dicono. Il problema si chiama “governo tecnico”. Ai miei tempi si diceva “governo ladro”, ed era una nozione più semplice. In uno stato appena appena decente, il fatto sarebbe talmente apodittico da non abbisognare di sterili discorsi e di sforzi disumani tesi a dimostrare l’indimostrabile: se cade un governo, sostenuto da una coalizione che si è presentata tale al corpo elettorale, si va dritto dritto alle elezioni anticipate. Che, di per sé, non sono né un trauma né un dramma. Tutt’al più sono un costo, una rottura di palle per noi che dobbiamo andare a votare ed un patema d’animo per i peones (i Romani li chiamavano pedarii, ma quelli valevano cento volte di più dei nostri) che non sanno se verranno rieletti. Il tutto nasce da una interpretazione della carta costituzionale (verrebbe da dire: libera interpretazione di stampo protestantico, vale a dire uno stravolgimento) che non ha capo né coda, ma solo il sedere, cioè la faccia di ano di chi la proferisce. Pretendono dunque i democristiani (esistono ancora) che il presidente della repubblica abbia il dovere (“costituzionale” aggiungerebbe Oscar Scalfato) di verificare, entrato in crisi l’esecutivo, se in parlamento esista una nuova maggioranza, quale essa sia, capace di sostenere un governo. La scuola democristiana ha fatto proseliti in campo Pd, partito che ha ereditato il peggio dei due partiti dai quali è nato. Comunque sia, sbagliano i post-democristiani e sbagliano i post-comunisti, perché le cose non stanno così. Spiegava Costantino Mortati, costituzionalista con simpatie social-comuniste, che il presidente della repubblica ha il compito delicatissimo di verificare, giorno per giorno, se esiste quell’idem sentire, quella comunanza tra il popolo elettore e i propri rappresentanti, potendo ben succedere che, col tempo, il parlamento non rappresenti più la Nazione. Questo può avvenire per svariati motivi. Un capo dello stato, dunque, che non è un ragioniere, uno che fa la conta degli onorevoli e dei senatori cambia-casacca che vanno a sostenere un governo nato dagli intrighi di palazzo. E poi basta con la prostituzione politica, coi partitini nati, ad elezioni celebrate, all’ombra del potente (si fa per dire) di turno. Ma non era proprio Fini che parlava di “puttani”?

Giacinto Zappacosta

riproduzione vietata

Nessun commento:

Posta un commento