L’ipallage
Questa figura
retorica, come ci dice l’origine greca del nome, indica uno scambio, un
passaggio. Andiamo subito ad un esempio. ‘Ma io deluse a voi le palme tendo’.
Il verso foscoliano, tratto da ‘In morte del fratello Giovanni’,
indimenticabile sonetto tuttora presente in chi lo ha mandato a memoria,
esprime l’immagine dell’esule che tristemente anela agli affetti familiari. È
appena il caso di sottolineare come la delusione sia insita nell’animo del
poeta, non già nelle palme, cioè nelle mani, idealmente tese ad abbracciare i
propri cari. Nel che è evidente il passaggio, appunto, che dà colore e
intensità al poetare, di un sentimento riferito a quel gesto anziché, come è
nella realtà, alla psiche dell’individuo. Quindi l’ipallage è una diversione
nell’uso dell’aggettivo qualificativo, concordato con un elemento della
proposizione diverso rispetto a quello cui si riferisce da un punto di vista
strettamente logico. Gli studiosi, al riguardo, parlano di concordanza con il
determinato anziché col determinante o viceversa. Ma non spingiamoci
oltre. Piuttosto, ad un lettore attento
non sarà sfuggito un altro particolare, cioè che nel verso in esame l’uso del
sostantivo ‘palme’, a sua volta, rientri nella sineddoche, figura analizzata in
una precedente lezione. Altro esempio di ipallage è nella poesia ‘Pianto
antico’ di Giosuè Carducci, nella quale ‘la pargoletta mano’ dice molto
all’animo di chi legge. O ancora, nell’Eneide Virgilio ci regala la felice espressione ‘altae
moenia Romae’. Alla prossima. Parleremo
dell’enallage.
Giacinto
Zappacosta
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