martedì 27 settembre 2016

LEZIONI DI RETORICA / 6


La litote

I Latini la chiamavano ‘deminutio’, cioè ‘diminuzione’ o ‘attenuazione’. L’etimologia, l’origine del termine, rimanda, come ormai abbiamo imparato, alla lingua greca antica. La litote è una figura retorica, usata anche nel linguaggio parlato, molto semplice nella sua definizione, che consiste, attraverso la negazione del contrario, in una attenuazione del concetto. Gli effetti, le sfumature sono molteplici, dal tono ironico, all’enfatizzazione, alla dissimulazione. Esempio: se, in un determinato contesto, voglio significare, senza essere troppo severo, lo scarso ingegno di una persona, dirò, negando appunto il contrario, che ‘Tizio non è una cima, Tizio non è particolarmente intelligente’ e così via. È chiaro che, mutando il contesto, queste stesse espressioni assumono una valenza ironica, come nel caso si voglia sbeffeggiare la bruttezza di qualcuno asserendo trattarsi di persona ‘non bella’. Oppure, infine, la litote vuole dare risalto ad una proposizione, ad un concetto. Vediamo: ‘Tizio si è impegnato non poco, ha affrontato prove non facili’. Altri esempi di litote ricorrono in espressioni frequenti, quali ‘non mi sfugge, nessuno ignora, non voglio sottovalutare’. La finezza stilistica, per concludere in bellezza, è nella doppia litote dello pseudo-Cicerone: ‘il padre ha lasciato un patrimonio, non voglio dire troppo, non modestissimo’. La doppia negazione rende una gradazione di immagini che lascio all’apprezzamento del lettore. La prossima volta, a Dio piacendo, analizzeremo l’ipallage.

Giacinto Zappacosta

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