La litote
I Latini la chiamavano ‘deminutio’, cioè
‘diminuzione’ o ‘attenuazione’. L’etimologia, l’origine del termine, rimanda,
come ormai abbiamo imparato, alla lingua greca antica. La litote è una figura
retorica, usata anche nel linguaggio parlato, molto semplice nella sua
definizione, che consiste, attraverso la negazione del contrario, in una
attenuazione del concetto. Gli effetti, le sfumature sono molteplici, dal tono
ironico, all’enfatizzazione, alla dissimulazione. Esempio: se, in un
determinato contesto, voglio significare, senza essere troppo severo, lo scarso
ingegno di una persona, dirò, negando appunto il contrario, che ‘Tizio non è
una cima, Tizio non è particolarmente intelligente’ e così via. È chiaro che,
mutando il contesto, queste stesse espressioni assumono una valenza ironica,
come nel caso si voglia sbeffeggiare la bruttezza di qualcuno asserendo
trattarsi di persona ‘non bella’. Oppure, infine, la litote vuole dare risalto
ad una proposizione, ad un concetto. Vediamo: ‘Tizio si è impegnato non poco,
ha affrontato prove non facili’. Altri esempi di litote ricorrono in
espressioni frequenti, quali ‘non mi sfugge, nessuno ignora, non voglio
sottovalutare’. La finezza stilistica, per concludere in bellezza, è nella doppia
litote dello pseudo-Cicerone: ‘il padre ha lasciato un patrimonio, non voglio
dire troppo, non modestissimo’. La doppia negazione rende una gradazione di
immagini che lascio all’apprezzamento del lettore. La prossima volta, a Dio
piacendo, analizzeremo l’ipallage.
Giacinto Zappacosta
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