venerdì 28 ottobre 2016

ANALISI ANTROPOLOGICA DEL SI’ AL REFERENDUM (TANTE LE CAPRETTE CHE BRULICANO DA QUEL LATO)


È la componente maggioritaria all’interno del fronte del sì al referendum. L’argomentare è lineare, semplice, accattivante. Votiamo sì per cambiare. La frase coagula consensi, al punto che mi convinco sempre di più, sperando di sbagliare, che all’alba del 5 dicembre raccoglieremo i cocci di quello che rimane della sovranità popolare. Dovrebbe valere il principio, deve valere il principio che la potestà legislativa è di diretta emanazione del corpo elettorale: le elezioni di secondo grado per quanto attiene il senato, ridotto ad una sottospecie di dopolavoro, sono un pugno in un occhio all’idea stessa che gli Italiani, in quanto comunità, siano gli unici a decidere chi debba emanare le leggi. In pratica, siamo chiamati ad auto-espropriarci della facoltà di scegliere i senatori. E non si tratta di una bazzecola.
Rimane da capire, ma c’è poco da capire, il vulnus che verrebbe a crearsi (art. 24 della legge di riforma) in riferimento al potere di scioglimento delle camere (art. 88 dell’attuale carta), che spetta al presidente della repubblica, potere che, nella costituzione novellata, sarebbe limitato alla sola camera dei deputati. Con tutti i pasticci che ne seguirebbero.
Di fronte a tutto questo, e ad altro ancora, a cominciare dal consolidarsi del potere affaristico, si risponde con l’assioma (falso) in base al quale l’impellenza del cambiamento a tutti i costi debba prevalere. Il delirio è nella ripetizione pappagallesca: se non si riesce questa volta, dovremo aspettare trent’anni. L’apoftegma, coniato da quel genio di Renzi, trova spazio nell’animo delle capre. Che sono tali perché non ragionano, perché sono ignoranti, perché, senza accorgersene, sono alla mercé del potere politico-bancario. Semplicemente, la controreplica è: perché trent'anni? 
Buon referendum a tutti.


g.z.

Nessun commento:

Posta un commento