Considerazioni
finali
Un
lungo e spero interessante percorso ci ha
condotti attraverso le bellezze della nostra lingua, ad apprezzare, in
particolare, le varie figure retoriche che la arricchiscono di tante sfumature.
Dicevo, allora, come il linguaggio sia la più alta forma d’arte. Posso
soffermarmi, adesso, a considerare come il nostro idioma sia l’espressione più
alta di linguaggio, capace di sostenere e rendere poesie di elevata fattura (è
sufficiente nominare Dante, Petrarca, Leopardi, Foscolo e Manzoni?), romanzi,
opere letterarie in genere, ma anche scritti di carattere scientifico,
filosofico e quanto altro ancora. Spero di aver suscitato, nel corso del tempo,
un interesse nel pubblico, con rigorosa e preventiva esclusione delle capre,
irrimediabilmente elette quali demolitrici della lingua, in particolare, e
della cultura, in generale. Quelle stesse capre i cui apoftegmi, propalati
attraverso face book, vera disgrazia del nostro secolo (aveva ragione, forse
solo in questo, Umberto Eco), risuonano in improbabili frasi: ‘l’hai
complimentata, la donna abusata’ ed altre imbecillità di pari o superiore
spessore. Per non parlare degli errori di ortografia, a cominciare da ‘e né’.
Prima che muoia la lingua, epifenomeno di un decadimento più generale, soltanto
altre due considerazioni. I Romani, Quintiliano sopra tutti, avevano elaborato
una solida retorica, le cui figure erano quindi indicate con nomi latini. Il
punto, sul quale varrebbe la pena spendere un discorso a parte, molto
articolato, è che quelle figure retoriche, con la sola eccezione
dell’allitterazione, vengono indicate da noi Italiani, diretti eredi della
cultura latina, con termini di chiara origine greca, prima fra tutti lo zeugma,
vocabolo del tutto omofono rispetto alla lingua ellenica antica. Evidentemente,
ma è solo un accenno rispetto ad una più ampia problematica, ricca di spunti,
la valenza della cultura greca si estende fino a noi, uomini e donne di
quest’epoca residenti in Italia. L’altra considerazione è di ordine
metodologico. Ho analizzato, su queste colonne, diciotto figure retoriche,
tralasciando quelle che, pur se elaborate da sicura dottrina e consolidatesi
nel tempo, mi paiono essere inutili ripetizioni, doppioni di forme espressive
dalle quali differiscono solo per la denominazione. Ad esempio, l’isocolo, di
cui non mi sono occupato, è perfettamente riconducibile, a mio avviso,
all’allitterazione, come d’altra parte l’anadiplosi, sulla quale ultima
parimenti non mi sono soffermato. Isocolo, anadiplosi ed allitterazione che di
conseguenza potremmo ricondurre ad unità. In buona sostanza, anche in retorica,
come in diritto e in tutte le scienze, vale la regola del rasoio di Occam, in
base alla quale ‘entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem’, gli enti,
le categorie non vanno moltiplicati al di là della necessità. Il lettore può
comunque farsi un’idea personale studiando per proprio conto le diverse forme
oratorie. Non mi rimane che ringraziarvi. Buona lingua italiana a tutti.
Giacinto
Zappacosta
riproduzione vietata
Nessun commento:
Posta un commento