mercoledì 12 ottobre 2016

TALVOLTA COSTITUZIONE FA RIMA CON PROSTITUZIONE (E BANCA ETRURIA FA RIMA CON GODURIA)


Lo stravolgimento è nella logica, prima ancora che nel diritto. Il quesito, ruffiano e capzioso, ci chiede in realtà, scrostando un po’ le belle espressioni vergate sulla scheda, se noi, popolo sovrano, vogliamo rinunciare ad eleggere i senatori e demandare questo compito ai partiti, al potere. In altri termini, siamo chiamati ad abdicare ad una fetta consistente della nostra possibilità di scelta. E noi, secondo loro, dovremmo dire sì.
Molto più lineare e razionale sarebbe stato abolire del tutto il senato: avremmo evitato i contorcimenti verbali a definire, malamente, le competenze delle due camere. In Italia, ciò che è semplice, diretto, perfino evidente, viene ascritto nella categoria del banale. Siamo in questi termini. Con una sola camera, eletta dal popolo, avremmo avuto, in un colpo solo, meno parlamentari (315) ed un iter legislativo assai più snello. Renzi ed accoliti hanno preferito tenere al guinzaglio, mercé i relativi benefici, un cospicuo drappello di sindaci e consiglieri regionali, che ben si presterà a salvaguardare le terga del capetto di turno, oltre che le proprie, come ovvio che sia.   
Né è accoglibile la vulgata renziana, opzione tattica maturata in queste settimane, in base alla quale bisogna occuparsi del merito, del quesito referendario, non di altro. Altra falsità. La valutazione sulla riforma non ha i contorni di un giudizio asettico, separato dalla realtà politica nella quale viviamo oggi, qui, ma va inserita, inevitabilmente, in un contesto più ampio. Ampio quanto gli intrallazzi bancari, per esempio, ampio quanto l’involuzione della politica verso forme di azionariato affaristico popolato da persone senza scrupoli e senza verecondia, ampio, nella sua imponenza, quanto le vicende della banca Etruria e del babbo boschiano. Tutti epifenomeni che andrebbero ad ingigantirsi e a rinvigorirsi all’indomani di una vittoria dei sì. Bella prospettiva, non c’è che dire.
Ci ritroveremmo quindi, all’alba del 5 dicembre, a fare i conti col consolidamento della oclocrazia, già imperante, nonché coi pasticci di una carta costituzionale malfatta. Vediamo un caso: partiamo dall’articolo 24 della legge di riforma costituzionale, recante “Scioglimento della Camera dei deputati”. Siamo al dilettantismo, finalizzato, però, lucidamente, alla conservazione del potere che gronda grasso (di maiale). Leggiamo: “All'articolo 88 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente: Il Presidente della Repubblica può, sentito il suo Presidente, sciogliere la Camera dei deputati”. Per raffronto, leggiamo l’articolo 88 della vigente carta: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. Questo significa, in pratica, che, se dovesse averla vinta il trio Renzi-Boschi-Verdini, il Presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera dei Deputati, non il Senato. Non è cosa di poco conto. Chi ha dimestichezza col diritto costituzionale, con esclusione quindi delle capre, che pure votano (sono la maggioranza), conosce la lezione di Costantino Mortati (era amico loro, non mio, almeno da un punto di vista politico), che illumina sul compito, molto delicato, che l’attuale ordinamento assegna al capo dello stato, quello di sciogliere, appunto, una oppure, come è accaduto sempre, tutt’e due la camere. Si tratta dell’iter propedeutico alle elezioni anticipate, così spesseggianti nella prima repubblica. L’argomentare dell’illustre costituzionalista è così riassumibile (lo dico anche a beneficio dei democristiani, soprattutto, per esempio Casini, che dimostrano una assoluta ignoranza sul punto): può accadere che, col passare del tempo, non ci sia più un idem sentire tra corpo elettorale ed eletti; il capo dello stato, allora, scioglie il parlamento e si va a nuove elezioni. Cioè, in altri termini, senza che nessuno si scandalizzi, il parlamento può non essere più rappresentativo rispetto al popolo sovrano. In questo caso, secondo Renzi, il presidente della repubblica scioglie la camera dei deputati, ma non il senato, con la orribile conseguenza che, magari, in quest’ultimo c’è una data maggioranza, mentre nel primo, seguito elezioni, si instaura una maggioranza diversa. Sarebbe la paralisi istituzionale. Che Dio ci aiuti (e ci liberi dalle capre).

Giacinto Zappacosta

riproduzione vietata
      



Nessun commento:

Posta un commento