giovedì 15 dicembre 2016

La donna ama parlare degli uomini eruditi, ma si annoia della loro presenza




Il titolo, Critica dell’estetica hegeliana, col rimando ad uno dei più grandi filosofi che l’umanità abbia avuto, sottende un argomento impegnativo. Il nome dell’autore, Francesco De Sanctis, personalità di sicura dottrina e di provato ingegno, già di per sé invita alla lettura e allo studio. Fin qui, dunque, tutto lineare, tutto tranquillo e sereno. Ma l’agguato, come d’altra parte nella vita, è dove meno te l’aspetti, in un passo tutt’altro che secondario, niente affatto periferico. Si parla, con un argomentare limpido, cristallino, del concetto di arte, del rapporto tra forma e contenuto, dell’ingerenza del pensiero nelle varie forme artistiche. Bella, ad esempio, e anche ricca di fascino, quella digressione: ‘Il filosofo, se vede un pomo cadere, corre immediatamente con l’animo alla legge che governa quel fatto, ed il pomo si trasforma in un principio generale. Il poeta – prosegue De Sanctis – è agli antipodi; se apre un libro di filosofia, ecco raggi di sole e vaghe fanciulle che gli guastano il sillogismo, e la maggiore si trasforma in un pomo che cade’. Una immagine, che vorrei definire poetica, ti spiega quindi quel confine, forse labile, però necessario, tra filosofia e poesia, o arte in generale. Ma eccoti l’affondo inatteso: ‘ … come la donna, che ama volentieri parlare degli uomini eruditi, ma si annoia della loro presenza’. Qualcosa stride, fa impressione, impatta violentemente sull’animo, eppure fa riflettere. Il De Sanctis, il liberale, il progressista, il ministro della Pubblica Istruzione della nuova Italia, nata dal glorioso risorgimento, scivola su argomento di tal natura, incespica su una pietra miliare, vero discrimine tra l’arretratezza, che si vuole pre-unitaria, specie meridionale, e la modernità sabaudo-piemontese. La frase, se fosse uscita dalla penna di un Giacinto De Sivo, sarebbe stata ascritta, quale monito, soprattutto nei testi scolastici, a dimostrazione, l’ennesima, della nefandezza borbonica. Vale la pena, forse, leggere l’intero passo. ‘Nel volgo è rimasta l’opinione che l’eccellenza della Divina Commedia sia nella profondità della filosofia e della teologia; la quale opinione rende quel libro poco popolare: perché il volgo fa un po’ come la donna, che ama volentieri parlare degli uomini eruditi, ma si annoia della loro presenza; il volgo – conclude il critico campano – ammira i libri dotti, ma non li legge’. Il volgo da un lato, la donna dall’altro: due termini, due aspetti similari dell’antropologia liberal-progresssista, due categorie strutturalmente inferiori. Eccoti l’Italia, quella del ‘grido di dolore’, che nasce con questi presupposti e si nutre di falsi miti. Certo, va detto che comunque il De Sanctis, quale ministro della Pubblica Istruzione, vale più della Gelmini e della Giannini messe assieme. E va aggiunto, ma questo riguarda solo me, che mi è capitato di leggere la noia negli occhi di qualche signora. Dopo tutto, come si dice, c’è un fondo di verità in tutte le cose.
Giacinto Zappacosta
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