domenica 22 gennaio 2017

LA SCUOLA DI UNA VOLTA, COSI' DIVERSA


Il pensiero andava, nel dormiveglia, a quel mio povero compagno di scuola che, traducendo dal latino il verbo “gratulari”, che come noto regge il dativo, se ne uscì nell’avveniristico empito, rimasto poi agli annali, “mi congratulo a te”, o similare. Successe il finimondo. L’insegnante (eravamo in terza media), in preda all’ira, rimproverò con insolita asprezza il malcapitato, che però, a parziale giustificazione, aveva dalla sua quel dativo fuorviante e ingannatore. Diciamo che il ragazzo rimase prigioniero della traduzione letterale, oltre la quale non sapeva andare. A me capitò qualcosa di meno grave un anno dopo, al ginnasio. Nel tema scrissi “difronte”, tutto attaccato: pur avendo un voto discreto, quell’errore mi costò una penalità. Penalità che era l’evidenza di un disvalore, apoditticamente avvertito come tale. Consegnate alla storia le giovanili disavventure linguistiche, espiata la colpa, incassata la nota di biasimo da parte del docente, negli sviluppi successivi della mia esistenza non mi è mai capitato di inerpicarmi lungo i sentieri depravati del linguisticamente scorretto, della demolizione sistematica dell’idioma.

g.z.

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